Gatto: 9 mila anni di coerenza
Diciamoci la verità, gli piacciamo, sì… ma, evidentemente, non abbastanza. Un po’ come quando, già scottati, ci si approssima ad una nuova relazione. Da una parte c’è la curiosità – e loro, certo, non se ne possono dire privi – dall’altra, quella sana diffidenza che ci porta, prima di avventurarci, a sondare ‘le cose’. Vedere, insomma, se è il caso o no.
Ecco, i Gatti, nei nostri confronti, agiscono esattamente così. Nonostante superino – stando alle cifre – in quantità, il numero dei cani allevati in casa – 7,5 contro 7 milioni – ciò non toglie che continuino a mantenere, nei nostri confronti, quella certa aria distaccata che, talvolta, ce li rende inspiegabili.
Amabili ma sfuggenti. Giocherelloni ed affettuosi, per rivelarsi, l’istante successivo, aggressivi. Dire che sono tra i nostri animali preferiti. In quanto, poi, a definirli domestici beh, è tutta un’altra storia.
Sarà che sono entrati in relazione con l’uomo ben più tardi di Fido… In fondo, ci frequentiamo solo… da 4 mila anni. Insomma, un po’ come sono d’uso certe donne – o, almeno, una volta funzionava così, che oggi il mondo gira al contrario – prima di concedersi definitivamente, si fanno sospirare. E, in ogni caso, la vicinanza non deve averli particolarmente influenzati, dal momento che, dall‘analisi del Dna di esemplari vissuti fino a 9 mila anni fa, ci si è resi conto che, rispetto ai gatti selvatici, non c’è stato pressoché alcun cambiamento, fatta eccezione per l’introduzione delle tipiche striature del Soriano, che risale al Medioevo.
Lo studio, pubblicato su Nature Ecology & Evolution rivela come, in un primo momento, ci abbiano ‘sondato’. Data l’abbondanza di topi, era conveniente anche dal loro punto di vista tenersi nei paraggi. Commensali, al pari di un qualsiasi altro ospite. Eppure hanno – e lo hanno fatto di loro sponte, sia ben chiaro – stabilito di avvicinarsi ulteriormente. Diversamente dal ‘miglior amico dell’uomo‘ non ne avevano la necessità. Erano autonomi e… con la pancia piena. Ciò non di meno, mettiamola così, si sono lasciati convincere.
E, pure il cervello, talmente simile a quello dei loro antenati, non deve essersi modificato. Ricordiamoci, quindi. che sono animali solitari, abituati a comunicare con i loro simili per via di schemi impercettibili. Spesso, attraverso messaggi chimici e visuali. Nel momento in cui, dunque, vorremmo accarezzarli, prenderli tra le braccia, coccolarli, non è difficile prevedere una risposta di fastidio, né stupirsi di una eventuale reazione di stizza, da parte loro. Meglio attendere. Aspettare che si avvicinino, per spontanea volontà.
Si può intervenire sulla situazione? Ebbene, forse agendo nel mentre delle prime settimane di vita, tenendo tuttavia presente che i mici reagiscono con atteggiamenti precisi alla nostra personalità e al modo in cui li tocchiamo. Meglio, sempre, procedere per gradi, calibrando i comportamenti e valutando le reazioni. Ricordiamoci che stiamo ‘violentando’ la natura, pur agendo nella maniera più delicata possibile. Peraltro, non è detto che accettare le effusioni valga ad esserne felici. Se il livello di stress aumenta, le reazioni possono farsi incontrollate, e poco importa che riguardino direttamente il Padrone/a o coinvolgano la Casa.
Qui occorre una vera e propria strategia.
Mettersi nella posizione di sapere interpretare i segnali è il primo passo. Se fissiamo ‘un appuntamento’ con il nostro felino, è bene concedergli il modo di decidere ‘il dove e il quando’, rammentando che, se inizia a fare le fusa, ama essere accarezzato, in particolare, presso le regioni del muso, che corrispondono alle ghiandole anteriori sotto le guance, la base delle orecchie, il sottomento.
E’ fondamentale, in contemporanea, controllarne lo stato di benessere. La coda, alzata, viene adoperata per un primo contatto. Dunque, mossa delicatamente, da lato a lato. Le orecchie, tese, tendono a spostarsi in avanti e, intanto, con le zampe, fa ‘la pasta’. Bene, se vi bloccate e vi da una piccola spinta, significa che desidera continuare. Più chiaro di così?
Se, diversamente, resta passivo o, peggio, allontana la testa da voi, o si lecca il naso e magari, nel frattempo, scuote la testa, allora non è aria. Se addirittura incurva la schiena, la situazione – secondo il suo sentire – si è resa insostenibile. Tanto vale allontanarsi.
E, di nuovo, la coda può rivelarsi un buon indicatore: se passa velocemente e in modo insistente da una pare all’altra, significa che è nervoso. Orecchie piatte e girate all’indietro, allo stesso modo, stanno ad indicare malessere. Se ancora il messaggio non sarà evidente, non esiterà a passare alle ‘maniere forti’. Pertanto, aspettatevi graffi e zampate. E pure qualche morso.
Ecco, quanto appena letto non mira ad essere un Bignamino da Bon Ton formato gatto, per quanto speriamo possa esservi utile. Intende, piuttosto, indurre ad una riflessione, più ampia e generica. Amare, a dispetto di quanto siamo portati a credere, equivale, spesso, ad un atto di infinito altruismo, in cui davanti e prima ancora delle personali esigenze, si prenda in considerazione il mondo di chi ci sta di fronte. Un mondo ‘altro’ in relazione al nostro, del quale vadano rispettati spazi, tempistiche, modalità.
Cesellare la sensibilità, la nostra, vale molto. E’ il dono più bello che si possa recare a chi sosteniamo di amare. Accettarne le diversità. Volerlo, così come è, senza deformarne l’indole per sentircelo più vicino. Lasciarlo, in sostanza, libero. E costa. Ma, se davvero quell’amore è corrisposto, il sacrificio non verrà sprecato e anche l’altro, creatura umana o faunistica che sia, saprà come ricambiarci e lo farà. Sincera.
Chissà, forse i gatti ci insegnano proprio questo: nessuno può appartenerci completamente, ma quando si offre spontaneamente al nostro cospetto, quel gesto non ha prezzo.
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