Tutti in carrozza, con la mozzarella
Sono molti a supporre che sia una ricetta laziale, invece, tanto per cominciare, si tratta di un piatto tipico della tradizione culinaria campana. Un salvacena, ideale – richiede pochi ingredienti – che si colora di più interpretazioni, forse proprio per questo motivo.
Nella versione più classica, bastano pane casereccio o pan carrè, mozzarella (tradizione vuole quella di bufala), farina, uova, latte ed olio per friggere. Il pane, in pratica, viene tagliato in fette ripiene di mozzarella. Infarinato ben bene lungo i bordi, quindi passato nell’uovo, sbattuto con un pizzico di sale e latte. Infine, fritto in padella.
Niente di più semplice. Ne esistono, tuttavia – come accennavamo – svariate letture.
Ecco, allora che, a Roma, il fiordilatte sostituisce la mozzarella di bufala. Non solo, a rendere il piatto ancora più gustoso, l’aggiunta di acciughe o prosciutto cotto. Simile alla formula romana è quella veneziana, giacché è sovente ritrovare la pietanza, oltre i confinidel centro Italia, nei menù delle antiche osterie del nord-est. La mozzarella, anche in questo caso, fa da sponda ad altri ingredienti. C’è poi chi, a libera interpretazione, aggiunge, all’interno, pomodori secchi e chi, invece, nell’involucro, pangrattato. E chi, in ultimo, attento alla linea, la vuole cotta al forno.
Insomma, largo alla fantasia.
Ma dove si nascondono le origini del nome? Probabilmente, l’altisonanza va rintracciata nel fatto che si tratta di una piatto povero. Nato in Campania, nei primi anni dell’Ottocento, costuiva una soluzione di recupero per il riutilizzo di ingredienti non più freschi – pane raffermo e mozzarella – che piangeva il cuore, e il portafogli, buttare.
Diversi, dunque, gli aneddoti al riguardo. Sebbene alcuni sostengano che il nome derivi dal colore, dorato, delle fette di pane, predisposte in modo simile a quello di una carrozza, sorta di cocchio per il formaggio filante. Assai più accreditata è l’opinione di chi vede come principale interprete la mozzarella che, sciogliendosi durante il processo di frittura, fila, a mo’ di ‘briglie’, che guidano le fette (ovvero la carrozza) su cui è adagiata.
Un’ipotesi di matrice storica sostiene, invece, che nell’Ottocento il latte, trasportato – come gli altri viveri – sulle carrozze, si cagliasse, a causa del movimento continuo durante il tragitto, arrivando a destinazione come fosse formaggio fresco. Da ciò, la derivazione del nome. E c’è anche chi si appella alle ruote, dalla foggia rotonda, della carrozza. La stessa forma delle fette di pane disponibili nel nostro Paese, prima dell’arrivo degli eserciti alleati.
Il desinare preferito dagli artisti
Del resto, non va neppure sottovalutato il legame che la portata in questione vanta con l’arte. Rappresenta anche il titolo di una famosa opera di Gino De Dominicis. Un’installazione del 1970, composta da una carrozza vera e propria, al cui interno si trova una mozzarella (rinnovata ogni giorno dai curatori del museo che la ospita). E neppure il cinema è rimasto indifferente. Ne ha subito il fascino perfino il padre nel neorealismo. In Ladri di biciclette (1948), Vittorio De Sica dedica la scena toccante in cui il protagonista e suo figlio si consolano dalle loro sfortunate vicissitudini, proprio a questo alimento.
E se ieri era emblema della tradizione, oggi rinasce nei panni di street food. Contemporaneo, mai passato di moda.
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