Che topo… quell’embrione sintetico!
Un embrione di topo, sintetico, capace di raggiungere lo sviluppo record di 8,5 giorni, con tanto di cervello e cuore che batte.
L’impegno di tanti anni
Ecco i risultati, al loro culmine, di oltre un decennio di ricerca, utili nel fornire ai diretti responsabili la spiegazione, riguardo alle cause della fallibilità di alcuni embrioni, a fronte di altri, sani. Non solo, i medesimi dati potrebbero venire utilizzati, pure, per guidare lo sviluppo di organi umani sintetici, da utilizzare per i trapianti.
L’indagine, pubblicata su Nature dal gruppo dell’Università di Cambridge, vede coinvolte anche alcune eccellenze dell’Università di Padova. Lo stesso gruppo di analisi che, nel 2017, aveva ottenuto il primo embrione sintetico, a partire da cellule staminali. Esperimento, pure in quell’occasione, interessante, tuttavia, non altrettanto efficace.
Nel più recente caso, è stata utilizzata – si evince – una combinazione di cellule staminali embrionali, cellule della struttura necessaria al nutrimento dell’embrione (trofoblasto) e cellule extra-embrionali (ETiX), tutte di topo.
Una rivoluzione in corso d’opera
La grande differenza, rispetto al precedente, risiede nel fatto che gli studiosi siano riusciti a far dialogare gli elementi tar loro, in modo che si assemblassero spontaneamente, senza la necessità di stimoli esterni. Ci sono voluti otto giorni e mezzo, per dare origine ad una struttura, complessa e differenziata, che concerne alcune regioni del cervello; il tubo neurale, in origine al sistema nervoso; un simil cuore, in grado di battere e un’altra area, paragonabile all’intestino.
Un laboratorio vivente, in formato pocket, insomma. Ancora, si è riusciti a riprodurre le caratteristiche osservate nei cosiddetti topi di laboratorio knockout, privati – cioè – di un gene, allo scopo di studiarne le caratteristiche fisiologiche o approfondire le eventuali cause di malattie.
Nel frattempo, riferisce il California Institute of Technology (Caltech), lo stesso gruppo di lavoro sta intervenendo su un modello di embrione umano, analogo a quello appena descritto. Obiettivo, comprendere i passaggi cruciali dello sviluppo, altrimenti impossibili da osservare. Una facilitazione, nelle migliori delle ipotesi, per i pazienti in lista d’attesa, per la sostituzione di uno o più organi.
“Nel mondo ci sono tante persone che attendono anni per avere un trapianto. Quello che rende il nostro lavoro così entusiasmante è che le conoscenze che ne derivano potranno essere utilizzate per coltivare, in futuro, organi umani sintetici, per salvare vite“. Una prospettiva, che “aiuterebbe anche a capire meglio come sono fatti e a curarli, in modo più efficace“.
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