Pasta: quel lungo cammino, a partire da Oriente
Leggenda vuole che, ad introdurla in Italia, sia stato, sul finire del XIII secolo, di ritorno dal suo viaggio in Cina, Marco Polo. Falso mito sulla pasta, mai menzionata in nessuno tra i manoscritti de Il Milione.
La diffusione dell’aneddoto pare risalire al 1929, data in cui il fantomatico Macaroni Journal, organo dell’associazione industriali della pasta, volle attribuire la scoperta degli spaghetti ad uno tra i marinai del celebre esploratore. Appena sbarcato, l’uomo avrebbe scorto una contadina nell’atto di mescolare un impasto semiliquido, in una ciotola. Preparato che, di seguito, si sarebbe solidificato, al clima caldo e asciutto del Catay. E, subito, l’intuizione: un cibo secco, da reidratare in viaggio, avrebbe rappresentato una vera e propria benedizione. Idea geniale, frutto, però, solamente di fantasia.
Non da meno, tuttavia, la rivista Nature che, giusto qualche tempo fa avrebbe diffuso la notizia del ritrovamento di un piatto di spaghetti, databile circa 4.000 anni a retrocedere, nella città di Laja.
Dunque, doppia identità o, quanto meno, dibattuta, per un alimento dall’origine vagamente oscura e se è vero che, in fatto di tecnica e abilità fuori dal comune, tocca direzionare lo sguardo in Oriente, se si parla di pasta fresca, beh, allora il primato è tutto di casa.
“La pasta – del resto – è nata come variante del pane: sottile, non lievitata (ma talvolta sì), a volte essiccata, per favorirne la conservazione“. C’è chi la certifica originaria dell’Asia, tra Egitto e Mesopotamia. Si dà, invece, per certo, tra antica Grecia e mondo latino, la diffusione della sfoglia, sottile e allungata, nota come lagana. Merito degli Arabi, l’introduzione in Italia della versione, a base di grano duro, messa in forma ed essiccata. Al tempo, era conosciuta con il nome di itriyya.
La tradizione estera attecchì, all’istante, in Sicilia dove, a metà del XII, secolo si ha notizia della prima industria di pasta secca e lunga della storia. La regione, d’altronde, era perfetta, per via delle condizioni geografiche e del clima, entrambi favorevoli. L’isola divenne, pertanto, una sorta di granaio dell’Impero Romano, culla dell’industria in esame.
Oggi come oggi, dovunque, il 25 ottobre si celebra il World Pasta Day. Scopriamo, così, partendo dalla ricorrenza, che l’ingrediente si è rivelato tra le ancore di salvezza per la popolazione mondiale, in fase di lockdown.
Difatti, nel 2020, limitati in casa a causa del Coronavirus, gli abitanti del pianeta hanno trovato conforto… proprio in un piatto di pasta. Uno studio Internazionale rivela che 1 persona su 4 ne ha aumentato il consumo, eleggendola a piatto del cuore, buono, sano, pratico e sostenibile, proprio nel momento più difficile.
A conferma di quanto sopra, una tra le immagini simbolo di inizio emergenza, quella – cioè – di dispense e carrelli della spesa stracolmi dell’alimento, arriva, pure, la ricerca, edita da DOXA: Il consumo di pasta durante il lockdown, commissionata da Unione Italiana Food e Agenzia ICE, che ha preso in considerazione il parere di oltre 5 mila persone in Italia, Germania, Francia, Regno Unito e Stati Uniti.
Stando alla ricerca, anche nelle diete proteiche come quelle più strettamente anglosassoni, la pasta si è saputa ricavare un posto rilevante: la comprano – e la mangiano – 9 Americani su 10. Solo nella Penisola, se ne consumano 23,1 kg pro capite.
Interessante, a tal proposito, anche il derby che vede interporti i vari formati. Se, da noi, l’eccellenza è rappresentata dalla corta e rigata, Inglesi e Statunitensi la preferiscono lunga. I Tedeschi sono patiti per la fresca (ripiena e non); mentre i Francesi sono cultori della liscia.
Su una cosa, ben inteso, non si discute: la qualità. Infatti il Made in Italy rimane sul podio. Non a caso, è Italiano 1 piatto di pasta su 4, quando si parla dell’intero Globo; 3 su 4, in Europa.
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