L’annosa questione della carne di cavallo
Carne di cavallo e, a menzionarla adesso, proprio nell’era del vegetarianismo, suona quasi di blasfemo. Eppure, le sue origini affondano nella storia antica del nostro Paese. Animale da lavoro, prima; atto alla guerra, nell’era precedente all’industrializzazione e preziosa risorsa alimentare, in ultimo. ‘In sella’ – è il caso di dirlo – a secoli di cambiamenti socio-economici e culturali.

Apprezzata per le innumerevoli ed indiscusse qualità: è magra, tenera, ricca di ferro e vitamine del gruppo B, è tuttora considerata, a gran voce, una scelta salutare. Contrari – di rimando e come è naturale che sia – ambientalisti e quanti si battono a tutela dei diritti degli animali. Di qui, il sollevarsi di preoccupazioni etiche e tutto quel che segue.
Doppia faccia di una medaglia, che rende il tema complesso e costringe, chi desidera saperne di più, ad immergersi in profondità, nel tentare di comprendere le ragioni per le quali, un tempo, se ne faceva largo uso; venire a conoscenza delle preparazioni che ne prevedono la presenza in veste di ingrediente base; analizzare il rapporto tra benefici e deficit di un prodotto che lascia, ad oggi, largo spazio al dibattito.
Si viene, così, a scoprire, che l’abitudine, nella fattispecie, è figlia di un mix di concomitanze economiche e sociali. Dunque, in epoca Romana il cavallo rappresentava, per lo più, un mezzo per la battaglia, poco adoperato sotto forma di nutriente, per motivi – principalmente – culturali e religiosi. Durante le campagne militari o, più in generale, nei momenti di emergenza, non se ne escludeva, però, la consumazione.
Nel Medioevo, poi, era vista, la carne in questione, non di buon occhio. Alimento di basso rango, spesso relegato alle tavole dei meno abbienti. Persino la Chiesa cattolica, attraverso una serie di editti, ne scoraggiava il consumo, troppo legato, il cibo in analisi, alle pratiche pagane. Potenza delle guerre e delle epidemie se, alla fine, si pensò di introdurlo sulle tavole regionali, trasformando quella che rappresentava unicamente una fonte di nutrimento in una prelibatezza locale.

Del resto, magra – come accennavamo in precedenza – tenera e digeribile, dal caratteristico retrogusto dolciastro si presta a più cucine. La riconosciamo, vero, per la tonalità rosso brillante o rosa chiaro (se si tratta di puledri) ma, dopo l’accurata selezione post-macellazione la si consuma in maniera differente, a seconda delle diverse regioni dello Stivale.
In Veneto, se ne ricavano stufati assai ricchi, oppure salsicce. La pastissada de caval di Verona, con vino rosso, cipolle e spezie rappresenta, da queste parti, un caposaldo della tradizione. Cambiando diametralmente zona, in Sicilia, il cavallo con patate occupa un posto di primo piano nelle usanze relative alla città di Catania, dove la macelleria vanta una lunga storia. Ancora, in Emilia-Romagna viene rivisitata in forma di ragù o salumi; mentre in Puglia le famose braciole rappresentano un sine qua non, per la cultura del posto.
Già, ma una volta venuti a capo delle peculiarità, come scegliere il metodo di cottura più adeguato?
Come già accennato, abbiamo a che fare con una pietanza poliedrica e perciò, spendibile nei modi più disparati. La si può, allora, servire in carpaccio, condito – magari – con olio d’oliva, limone e scaglie di parmigiano. Gli sfilacci, tipici della provincia di Padova, costituiscono un antipasto saporito, ottenuto essiccando la carne tagliata a fette sottili e battendola, fino a ottenere strisce delicate, ideali da servire su polenta o insalate. Stesso dicasi per la versione tartare, condita con olio, limone, capperi, cipolla e spezie. Il taglio in bresaola lo si ritrova soprattutto al Nord Italia, preparata con rucola e parmigiano in scaglie. Tra i primi, apprezzato, specie in Emilia-Romagna è, appunto, il ragù; sulle tavole dei piacentini, troviamo – invece – la Picula ‘d caval, spesso unita alla polenta.

Mai sentito parlare di gnocchi con gorgonzola e sfilacci o di pasta al ragù bianco di cavallo? In accompagno ai cavatelli e alla ricotta, si disegna come un must, sempre in Puglia. In Salento regna il cavallo alla pignata, che prevede cottura lenta in un tegame in terracotta, in assemblaggio a pomodori, vino rosso, peperoncino e alloro. Lardo e caciocavallo fanno parte della ricetta delle braciole. Poi ci sono le costine di cavalloin umido, decisamente popolari in Lombardia. Caratterizzate, queste ultime, dal sentore di alloro e rosmarino. In Piemonte, la salsiccia al barolo la fa da padrona e potremmo continuare ancora, citando le infinite possibilità con cui riesce a declinarsi l’ingrediente. Fatto sta, per tutti – o meglio, per quanti lo amano – si tratta di un prodotto, comunque, versatile e succulento.
Non solo. E’ una carne, questa, anticipavamo, ricca di proteine e povera di grassi, buona fonte di ferro, il che la rende particolarmente indicata per bambini, individui che soffrono di anemia, convalescenti, donne incinte, anziani e atleti. Non presenta, inoltre, controindicazioni significative, se non fosse per i dubbi, sempre più accesi, da un punto di vista morale.

Difatti, in Italia, la macellazione degli equini è stata spesso tema di significative controversie. Nel 2013, un disegno di legge ne ha proposto il divieto, nonché l’importazione e l’esportazione dei quadrupedi, a fini alimentari. Riconosciuti come animali di affezione, si tendeva, tramite la norma, a sottolineare il legame emotivo che li lega all’uomo. Proposta non approvata. Tant’è, la disposizione è rimasta inalterata.
A livello internazionale, una più recente iniziativa intitolata End The Horse Slaughter Age ha ottenuto l’appoggio della Commissione Europea. Si richiede il divieto dell’allevamento e della macellazione dei cavalli, includendo anche l’esportazione per la produzione di pellame, cuoio, carne o per la fabbricazione di medicinali o altre sostanze. Inoltre, è fatto divieto di trasportare gli animali su lunghe distanze attraverso l’Europa, per la macellazione e la protezione degli equini dal lavoro eccessivo o dal duro addestramento. Sebbene non sia arrivato, al momento, un no definitivo, si è ancora in bilico sul da farsi.
In Francia, infine, si pone l’accento sul ruolo degli equini nella loro veste di animali da compagnia e di certo, al riguardo, non si è tuttora arrivati ad un punto finale. Ciò nonostante, l’accresciuta sensibilità lascia ben sperare sull’argomento, fermo restando che dovrebbe coesistere un doveroso grado di equilibrio tra lo sfruttamento compulsivo, la tutela degli animali e il rispetto, pure, delle nostre naturali necessità.
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