Gonna pantalone: storia di un capo ambiguo e rivoluzionario
Donne, in mano alle donne. Femmine, che si riappropriano di se stesse; che si determinano, secondo il tempo che le ospita. Che scelgono, in base a questioni di senso pratico, stile, potenzialità di vita.
Tutto questo e altro ancora rappresenta, nella storia, la Gonna pantalone, simbolo di emancipazione per eccellenza, laddove, una volta abbandonate le stringhe del corsetto, ci si auto-invitava a ‘respirare’…

Vale a dire, ad esempio, andare al lavoro, praticare sport, guidare la macchina, andare al mare ed esporsi al Sole – per la prima volta – alla ricerca di una straordinaria novità: la tintarella… Il che, per conseguenza, imponeva lo ‘stare comode’, al passo con le esigenze del momento. Inserite nella propria contemporaneità e consapevoli di un cambiamento, dal quale, poi, non si sarebbe più tornate indietro.
Non a caso, il capo in analisi è stato ideato da una donna. Elsa Schiaparelli, al pari della sua eterna rivale, Coco Chanel, ha rappresentato un punto di rottura, nella moda ma soprattutto nella società di allora. Quella dei primi decenni del novecento, pregna della volontà di aggiornarsi e di un cambiamento che si annunciava drastico, totale e, al contempo, geniale.

La couturière amica dei Surrealisti, a dire il vero, aveva tratto ispirazione da un altro ‘rivoluzionario’. Già nel 1911, Paul Poiret aveva reso popolare la jupe-culotte, dapprincipio battezzata gonna harem. Escogitata, quest’ultima, per facilitare i movimenti delle donne moderne e aderire al quel sapore d’Oriente che imperversava in quei giorni, in cui le istanze e gli input erano molteplici e di provenienza diversa. Elsa, semplicemente, si era lasciata sedurre dalle idee e dai convincimenti che avevano mosso il Sultano della moda e se ne era appropriata, per parlare una personale lingua, schietta e convincente.
Nella capitale francese, la stilista, iniziò così a disegnare abiti innovativi e confacenti a un dinamismo che, fino ad allora, non si era mai palesato.

Quartier generale, una boutique: Schiaparelli – Pour le sport, in cui campeggaiva un abbigliamento a metà strada tra il casual e lo sportivo. Facevano bella mostra di sé i maglioni con effetto trompe l’oeil, realizzati con la tecnica a doppio nodo o bow-knot e acquistati, a iosa, presso i grandi Magazzini Strauss di New York e faceva – pure – la sua comparsa, nel clima appena descritto, la mise, creata apposta, nel 1931 – un anno prima della nascita dell’omonima Maison – per la campionessa di tennis spagnola Lilí Álvarez, pronta ad affrontare la sfida di Wimbledon.
Innovazione e sportswear, insomma, a dimostrazione di un legame che, ancora oggi funziona e funziona ottimamente. Il modello verrà adottato anche per praticare equitazione e ciclismo.

Al di là del campo da gioco, tuttavia, l’area di divulgazione rimaneva ancora limitata. Del resto, fare inversione di marcia non sempre si presenta come un accadimento immediato. Talvolta la faccenda va digerita, metabolizzata…
Messa – pertanto – ampiamente da parte tra le due guerre, a provvedere alla (ri)scoperta fu, nuovamente, una donna.
Mary Quant ribadì e riprese il concetto di libertà, volendolo sdoganare da ogni tipo di convenzione. Negli stessi giorni, sotto l’impulso creativo di Yves Saint Laurent e della sua musa, Betty Catroux, si procedette, quindi, alla democratizzazione di quella che potremmo considerare la primordiale espressione del pantalone femminile: tailleur e camicia, con blazer e stivali, nelle successive interpretazioni, firmate Pierre Cardin o Courrèges.

Negli anni, via via, si è stretta, accorciata… diventando emblema del minimalismo dei ’90. La più recente evoluzione la identifica skant, sorta di ibrido che la vede, riletta al rovescio.
Giusto ed ennesimo compromesso tra comodità ed eleganza, tornata protagonista sulle passerelle e nei guardaroba più raffinati. Merito, probabilmente, di un fascino sbarazzino e dell’effetto sorpresa, che si manifesta ‘solo’ quando si cammina, svelando un cavallo tagliato ad arte.

‘Dono’ ibrido ed eternamente chic delle donne – accennavamo all’inizio – alle loro consimili e se da Chanel siamo partiti è lì che torniamo. Per la stagione 2026 la Maison propone un modello in seta avorio o tweed arricchito di pagliuzze dorate, con un taglio al ginocchio leggermente scampanato.
Parimenti, la rieditano Dior, Ralph Lauren e Michael Kors, in versione al ginocchio o lunga fino ai piedi. Poco importa, da Valentino ad Armani, da Genny a Zimmermann, ad Alberta Ferretti si ricava di nuovo spazio nel guardaroba di signore e signorine e si impone, come scelta irrinunciabile per look riusciti, piacevoli, vincenti.
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