L’uomo… dietro l’uomo: Giammetti, l’altra faccia del Re

L’uomo… dietro l’uomo: Giammetti, l’altra faccia del Re

Dietro ogni grande uomo‘ – si usava dire un tempo – ‘c’è sempre‘ – o assai spesso – ‘una grande donna‘.

Ebbene, qui il rapporto è uno a uno, nel senso che esponenti del ‘sesso debole’, in questa storia non ce ne sono o, almeno, non occupano i ruoli di protagoniste. C’è, però, accanto al Divo, al genio creatore, un compagno di vita altrettanto autentico. Fedele, devoto, in gamba.

Così, se tutti o in molti conosco e riconoscono il talento di Valentino Garavani, forse non altrettanti sono al corrente delle abilità, doti, capacità… dell’altra metà della sua personalissima mela. Colui che lo ha accompagnato nel corso di lunghi anni. L’uomo ombra, abile e silenzioso confidente, consigliere, spalla e braccio destro; amore della sua vita e complice di un’esperienza lavorativa, unica e votata al successo.

Giancarlo Giammetti è questo e molto altro. ‘Anima sottotraccia’ – è così che lo definiscono alcuni – della coppia e del Brand dal sapore colossale; nati, questi ultimi, nel luglio del ’60, grazie all’incontro tra l’allora studente di architettura e il giovane stilista di Voghera, in piena ascesa.

Un connubio perfetto. Il cerchio che si chiude e, a testimonianza, basta guardare i fatti, più che espliciti, al riguardo.

Prossimamente, il ritorno nella Capitale. “Ma noi non ce ne siamo veramente mai andati“, afferma, il nostro, in virtù dell’apertura della nuova sede della Fondazione Valentino e Giammetti, prevista il 24 maggio, presso lo storico Palazzo di piazza Mignanelli.

L’intenzione, è quella di concedere spazio a “mostre, cinema, iniziative culturali…“. Il tutto, condito da una buona dose di filantropia, rivolta soprattutto a bambini e anziani. Un progetto specifico al Gemelli – in particolare – e un nuovo padiglione di attesa, al pronto soccorso del Bambin Gesù.

Del resto, l’indole è e rimane quella di architetto. Frequentava, ai tempi, Giammetti, la facoltà di Valle Giulia e, prima, il collegio San Gabriele. Uno, per sua stessa ammissione, poco propenso agli studi ma, in compenso, amante dell’arte: “Amavo immaginare. Non mi piaceva la routine”.

Storico – a quanto raccontano le cronache – il suo fiuto per i quadri. “Tra i primi acquisti, alla Biennale di Venezia del ’66 presi un Fontana, tutto bianco. Lo portai a casa tutto contento mostrandolo ai miei: vi piace?E loro: ma quando lo apri? Pensavano che fosse l’incarto“. Operazione forse poco compresa, la prima ma succeduta da acquisti, frutto di un evidente intuito. “Un Picasso lo prendemmo da un sarto milanese, Lizzola, che scoprimmo essere il sarto del pittore, che pagava appunto in quadri. Pensavo a uno scherzo, invece era uno tra i Picasso migliori in circolazione“.

Warhol invece fu una sòla. “Quando cominciammo a ingranare venne da noi, a New York e chiese se poteva fare un ritratto di Valentino. Poi, andammo da lui e ne aveva realizzati diversi…”. Li eseguiva su commissione, insomma “…ma noi non ce li potevamo ancora permettere. Abbiamo fatto una figuraccia“.

Un tipo, pure, da discoteche, che allora erano nel pieno del loro splendore. Insieme a Valentino frequentavano il celebre Studio 54, “anche se noi non ci siamo mai drogati e neanche alcol…” e dalle conoscenze, inevitabilmente, ridondanti.

Ad un certo punto, Andy venne a Roma. Andò a Napoli, per eseguire una serie di quadri del Vesuvio e, poi, voleva lavorare nel cinema. Noi conoscevamo Franco Rossellini, che stava producendo Identikit, tratto da una novella di Muriel Spark. Storia di una matura turista tedesca che viene a Roma, tentando di liberarsi dalla depressione. Ad interpretarla, Liz Taylor“.

Figure di primo piano, in una Roma – all’epoca – meravigliosa… Oggi “è comunque una città piacevole, meglio di New York, meglio di Parigi. Milano, la conosco pochissimo…“. Sulla sponda opposta, l’America e le divinità di un Olimpo – quello Hollywoodiano – di cartapesta ma fortemente remunerativo. “La prima volta che incontrammo Liz Taylor era nel ’60 e, per la prima di Spartacus, a Roma, comprò il vestito più caro della collezione, tutto bianco. Grande attrice e grande persona…“.

Persino il nome di Jackie Kennedy ricorreva nella cerchia delle amicizie più strette: “…fummo segnalati dalla sorella di Consuelo Crespi, che lavorava da noi e venne a una nostra sfilata, al Plaza. Da lì, creammo un bellissimo rapporto“.

Sempre in fatto di First Lady, Nancy Reaganera più piccolina, molto presidenziale e molto curiosa. Ogni giorno, alle 15.00, chiamava Valentino e voleva sapere tutti i pettegolezzi”. Nella lista, infinita, non poteva certo mancare l’Avvocato. “Quando venne nel mio ufficio, in piazza Mignanelli, disse che sembrava quello di Chaplin, nel ‘Grande dittatore…”.

Altra passione in comune, Balthus. “Ah, Balthusera convinto che i quadri, anche una volta venduti, fossero comunque suoi. Per cui, a un certo punto, vide a casa nostra questo ritratto di ragazza, con la cintura e mandò a chiamare un pittore, per cambiare il colore della cintura, perché non gli piaceva. Non c’era verso di fargli capire che non era il caso“.

Dire che tutto ebbe inizio in un appartamento. “Poi, ci spostammo in via Gregoriana, che era la strada della moda, all’epoca. Eravamo in coabitazione con la proprietaria, la signora Ricupito. Ancora mi ricordo il nome. Era un appartamento pieno di gatti, un posto molto modesto. Eppure, arrivava Marella Agnelli, arrivava Mia Acquarone… Tutte le signore più importanti“.

La differenza con la concorrenza? I ragazzi qui presenti erano, senza ombra di dubbio, bravi nella comunicazione. Curiosi, di conoscere e di imparare: come ricevere, come arredare una casa. Né timidi, né presuntuosi e, per questo, in grado di farsi notare.

Due, per la verità ma con la Stella di uno solo destinata a brillare… Ciò nonostante, Giammetti non si è stufato di rimanere un passo indietro: “Io non ho mai cercato la gloria“, ammette ridendo, come a ribadire una natura serena e risolta, di suo. Del resto – racconta – “Valentino, presentandomi alla regina Elisabetta disse: Can I introduce you to my assistant?“. Elemento, pur tuttavia, di quella che potremmo definire primo esempio di famiglia Queer, divenuta di dominio pubblico nel 2008. Valentino, the last emperor mise il dito sull’unione che intercorreva tra i due, trasformando il coming out, in uno dei momenti audiovisivi più alti degli anni Duemila.

Abitanti di un Paradiso, dove non si respirava solo gloria. I commenti sarcastici da parte dei detrattori non sono mai mancati ma – come dire – ‘fa parte del gioco’.

Due, uniti, pure dalla passione per i carlini e dal linguaggio, evidentemente scelto, alquanto desueto.. “Quando ci siamo conosciuti, a via Veneto, Valentino mi disse che lui pensava in francese… A me sembrava un po’ esagerato e mi chiese se lo parlavo pure io. Bluffai, facemmo un po’ di conversazione e lui disse: sì sì ho capito, ora te lo insegno io e, da allora, abbiamo sempre parlato francese“.

Una coppia, al contempo esposta e… privata. D’altronde, in inglese, il termine sta appunto a significare soldato semplice ed è così che Giammetti, spesso, si dimostra: combattente, appunto ed umile.

Figli di madri “molto amiche” ma provenienti da contesti diversi. L’una mondana; l’altra attenta, misurata, all’antica e di un papà – quello di Giammetti – che, all’inizio, venuto a conoscenza della liaison, un pochino si dispiacque. “Poi, con Valentino diventarono molto amici“.

Invaghiti, entrambi, della bella Voghera come di New York e portatori sani di un messaggio, quello della loro carriera a quattro mani, da raccontare. Divulgazione via foto, ben inteso, giacché conservate, da parte, se ne conta la bellezza di almeno 57 mila. “Ero un maniaco della Polaroid“, rammenta. “Giravo sempre con la macchinetta, anche alla Casa Bianca“.

Oggi, sono bravino con l’intelligenza artificiale”. Non solo. “Sono un maniaco dell’organizzazione, se lei mi chiede una lettera del 1988, io l’ho catalogata“.

Conservati ben in ordine, anche i mitici progetti per le sfilate, fonte di ricordi indimenticabili. Nella campagna primavera estate ‘67, con Mirella Petteni sulle dune, “era tutto semolino ma, per una sfilata a tema camouflage, prendemmo in prestito un Warhol, lungo 14 metri“. Ricorda, poi commenta, con una vena di ironia e un breve rimpianto: “Ah, se l’avessimo comprato…“. 

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