In Giappone, stop ai nomi Kirakira
In nomen omen, come a dire che ogni nome porta con sé, scritto, il proprio destino. Tuttavia, almeno fino a qualche tempo fa, in Giappone, andavano per la maggiore scelte, ritenute sin troppo creative, o bizzarre. Nike, Pikachu, Pudding… imperversavano, per via dell’originalità e della popolarità, evidente, dei personaggi da cui traevano ispirazione.
La pratica, però, ha finito con l’ingenerare confusione (tra gli addetti ospedalieri e, più in là, sul passaporto, nelle cartelle cliniche…) e adesso il Governo locale si trova costretto ad assumere una serie di provvedimenti, per correre ai ripari. Stando, dunque, alla più recente normativa, i nomi Kirakira (scintillanti) sono al bando, in favore di quel che più appartiene alla tradizione.
Rigettato il ‘non o poco convenzionale’, è inevitabile che i Social abbiano preso, a loro volta, le parti. C’è chi sposa la causa di madri e padri, dal momento che i nuovi nati “Non sono figli della Nazione” ma di chi li mette al mondo e chi, invece, dalla sezione opposta della barricata, si trova d’accordo con lo Stato. Tant’è.
Alla base, la questione si crea, per via dei tre sistemi di scrittura orientali, che rendono difficile aderire ad una pronuncia, univoca e corretta. Fatto sta, da adesso in avanti i genitori dovranno includere la lettura fonetica dei nomi dei loro bambini nel registro e, qualora fosse riscontrata una mancata aderenza tra suono e pronuncia, questi ultimi potrebbero venire rifiutati, o richiedere ulteriore documentazione.
Dichiarato l’addio – insomma – ad Akuma (Diavolo) e compagni, si potrà continuare a scegliere tra circa 3000 caratteri approvati. Del resto, da queste parti non si tratta solo di aderire al gusto personale, ma la selezione finisce per riflettere valori, speranze… o una passione, da tramandare alla prole.
Standardizzare le letture si presenta, pertanto, come la soluzione unica, per garantire un’amministrazione moderna ed efficiente e più funzionale e rapida l’interpretazione del registro Koseki.
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