Pronto il tessuto anti-virale, risultati incoraggianti
“Non ci siamo mai fermati completamente. E, tra una telefonata e l’altra, ci fu anche quella di un fornitore, che ci proponeva di sviluppare insieme un’idea“. Inizia così questa storia, con il sapore di una confessione.
“Abbiamo capito che l’innovazione e il trattamento chimico dei tessuti poteva dare grandi risultati, nella lotta al Covid-19“. Qualcosa, in questo ambito, era già stato testato nell’esperienza della Sars, ma non bastava. Bisognava applicarlo al nuovo Coronavirus.
A parlare è Stefano Albini, presidente dell’omonimo Cotonificio, tra i più noti e rinomati produttori tessili, a livello europeo.
“Quella che abbiamo sviluppato sui tessuti è una formula di fissaggio, che abbiamo chiamato ViroFormula. Una tecnologia, che ha dimostrato di poter assicurare una protezione attiva da virus e batteri“, spiega.
Un’alchimia, frutto dell’aggregazione di più elementi a base d’argento, capace di produrre un effetto antivirale e antibatterico. “In pratica – prosegue Albini – si sfruttano i liposomi, come acceleratori per distruggere i virus, in pochi istanti“. I liposomi – va ricordato – sono i vettori che servono a trasportare il principio attivo nei tessuti.
Un trattamento certificato e totalmente sicuro per le persone e l’ambiente – garantisce il leader dell’Azienda – sviluppato in collaborazione con un’altra impresa, specializzata in ausiliari chimico-tessili, tecnologicamente avanzati. “Al momento, abbiamo prodotto diversi tessuti con questa tecnologia e stiamo completando gli ultimi test. I primi risultati sono molto positivi, sia in termini di performance che di durata“.
Una proposizione, che potrebbe espandersi a macchia d’olio, interessando la produzione di mascherine, camici, camicie, giacche, pantaloni… in generale, ogni altro tipo di indumento. Inoltre, il procedimento di fissaggio non è troppo distante dalla più comune impermeabilizzazione.
Una svolta, dunque, auspicabile nel più breve termine possibile.
Innovazione come archetipo di speranza
La ricerca, del resto, interessa la Albini S.P.A. ormai da anni. Rappresenta, in un certo qual modo, il cuore stesso della ditta. Da poco è stato inaugurato Albini Next, un Think Tank nato per guidare il cambiamento nel tessile. A fare da pavimento, l’evoluzione del know-how e partnership d’eccellenza. L’obiettivo è creare nuovi materiali e tecnologie applicate, come le tinture naturali; e il riciclo, in varie forme o processi di tracciabilità. Al percorso, si va adesso a sommare l’ennesimo progetto, sui tessuti anti-virali.
Certo, non è ancora concreta la certezza che tanto indaffararsi sia sufficiente, ma l’umore è alto e l’ostinazione – tipica degli abitanti della Val Seriana – non vuole cedere. “Al momento il conforto sono le mail di solidarietà dei tanti dipendenti, che ci scrivono di tenere duro. La cosa importante è che tutti si sentano parte di una comunità. Una comunità ferita, ma che ha la forza di ripartire“.
Un lavoro, al servizio del bello
Da Kering a Lvmh, da Gucci ad Hermes. E poi Armani, Cucinelli, Zegna… i clienti accreditati sono numerosi, italiani e stranieri. Marchi che parlano di lusso, e di benessere. Nonostante ciò, necessita un rimpasto. Bisogna ripensare ogni dettaglio: il futuro degli ordini, la ripresa dei consumi, il destino di mercati, come – ad esempio – Stati Uniti e Asia.
I telai hanno ripreso a funzionare, dopo la chiusura del 16 marzo. Attualmente è operativo circa il 30% dei dipendenti, anche se per occuparsi delle grandi macchine tessili non serve troppa vicinanza. Il distanziamento era, paradossalmente, già nelle cose.
L’incognita del futuro
Albini Group conta oggi sette stabilimenti (di cui quattro in Italia), per un totale di oltre 1.300 dipendenti. Benché rappresenti – cifre alla mano – il maggior produttore europeo del comparto, ha chiuso il 2019 con un fatturato consolidato a 142 milioni. Una flessione del 6% rispetto all’anno precedente, dovuta alla ristrutturazione internazionale del settore moda.
Una, tra le tante incognite, suscita soprattutto preoccupazione; e cioè quella relativa agli investimenti. Il Cotonificio, negli anni, si è distinto per il controllo, minuzioso e diretto, sull’intera filiera produttiva. Dal campo di cotone egiziano o caraibico alla nobilitazione del tessuto, nulla è stato lasciato al caso. Condizione essenziale per poter tracciare, supervisionare e rendere trasparente passaggio per passaggio. Suggello di massima sostenibilità, per ogni metro di tessuto.
Una filiera antica cinque generazioni
“Non siamo ancora in grado di capire quello che sarà il futuro, perché nel sistema moda molte aziende sono ferme o in cassa integrazione. Per quello che ci riguarda, posso anche arrivare a immaginare un dimezzamento del fatturato, in questo 2020“. Parole crude ma schiette, quelle di Albini, erede alla quinta generazione di una famiglia che opera nel settore da 144 anni. Molto è nelle mani della riapertura dei negozi, della ripresa del turismo internazionale, tra i fattori trainanti del mercato.
La spada di Damocle pende, inesorabile, sul destino delle piccole aziende italiane, che rischiano di finire ancor di più nell’orbita dei grandi gruppi.
“Dobbiamo salvare il made in Italy, che sta rischiando di morire“, conclude Albini. “Questa crisi rischia di essere insostenibile, da un punto di vista finanziario e dimensionale. Dovremo forse superare vecchie diffidenze e aprire la stagione di nuove fusioni o acquisizioni tra noi, piccole e medie aziende. Altrimenti, nei prossimi anni, scalare i mercati mondiali sarà difficilissimo“.
Un percorso già tracciato. A senso unico, quello post pandemico. Dove la possibilità di scelta si delinea nei tratti di un’apertura non preventivata. Un salto nel vuoto. L’unico possibile – a quanto pare – se si vuole ancora puntare, testa alta, al futuro.
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