India: muore, a 92 anni, l’ultimo dei Maharaja
Così si eclissa anche l’ultimo dei sogni…
L’allure delle ‘Mille e una notte‘ si respirava ancora, presso la corte di Murugadoss Tirthapati. L’ultimo regnante – senza più titoli – dell’antico lignaggio di Zamindar, che faceva capo all’epoca degli imperatori Moghul dell’India, si è spento.
Se ne è andato, domenica notte, nella sua reggia di Singampatti, nel distretto di Tirunelveli, in Tamil Nadu. Aveva 92 anni, il Maharaja, venerato – nonostante tutto – da buona parte della popolazione. Tanto che, per molti anni e in numerose occasioni, ha presieduto le grandi cerimonie religiose, a partire dall’Aadi Festival, lì, nel tempio Sorimuthu Ayanar, fatto edificare dalla sua famiglia.
Un titolo, quello di principe, ricoperto a soli 7 anni. Murugadoss, del resto, era il 31esimo erede di una dinastia, che trovava le sue radici nel XVIII secolo, quando il capostipite, sconfitto il nemico, ottenne in beneficio un territorio di 340 km quadrati, nella regione dei Ghat occidentali.
Signore per diritto dinastico
Lo abbiamo anticipato, si trattava di un carica per lo più simbolica da quando, una volta conquistata l’indipendenza dal dominio britannico, nel 1947, ogni forma di monopolio si era oscurata, insieme ai nobili e ai discendenti dei sovrani. Eppure, gli erano ancora riconosciuti una serie di privilegi. Alcuni insiti al rango, come ad esempio il diritto di usare le armi; altri, dovuti, più probabilmente, al carattere, data l’influenza politica, tuttora persistente nel sud del Tamil Nadu.
Dal palazzo reale – tra i siti storici dello Stato – presiedeva il Consiglio, che gestisce sette importanti templi indù.
Una storia affascinante, quella del Maharaja, costellata anche da accadimenti… discutibili. Negli anni Venti del ‘900 fu suo padre, l’allora principe Sankara, a macchiarsi di omicidio. Un delitto, commesso con un colpo di pistola, nei confronti di un cittadino inglese, per i suoi commenti razzisti contro la comunità tamil. Per la morte dell’uomo, preside del rinomato Prince College di Madras, la Famiglia Reale dovette cedere 4000 ettari di terre alla White Tea Company. L’adeguato risarcimento, in virtù delle doverose spese legali.
Una vita spesa per la cultura
Educato presso l’Istituto delle English Arts, a Kandy, Murugadoss era un vero letterato. Rinomato per l’interesse nei confronti degli scritti dell’età Sangam, la sua penna ha lasciato ai posteri una buona dose di libri, che narrano delle vicende della dinastia Singampatti.
Era il 1952 quando la figura che ricopriva perse ufficialmente di senso, con l’abolizione – come accennato – degli Zamindar e la nazionalizzazione della maggior parte dei beni di famiglia. Parte del suo palazzo, ad oggi, ospita uffici governativi e persino la scuola.
Strano a dirsi, ma il principe ha lavorato fino alla pensione come agente assicurativo, misurando le apparizioni pubbliche e riservandole unicamente alle feste religiose in cui, per sua stessa definizione, tornava a essere: “Re per un giorno“.
Eppure deve aver vissuto in un universo elegante e raffinato, degno delle declinazioni che hanno caratterizzato la sua anima garbata. Gli Zamindar detenevano storicamente il controllo sulle terre e i contadini, dai quali si riservavano il diritto di riscuotere le tasse. Tributi, devoluti all’Impero, in caso di guerre. Ecco, tutto ciò si traduceva, tra le mani di Murugadoss, nello stemma, in cui erano incisi due leoni, rintracciabile in tutti gli oggetti di sua proprietà.
Un sigillo, che faceva a cazzotti con la realtà del ruolo attuale, ma che rimandava ad un tempo passato, foriero di riminiscenze lontane, quello in cui anche il titolo di “guardiano della fauna selvatica” del distretto di Tirunelveli, onorificenza attribuitagli dal 2002 al 2005, socchiudeva l’uscio ad un miraggio più ampio e ai ricordi. Tanti, opulenti, messaggeri di splendore.
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