A.A.A. Attenzione cercasi… per non sottovalutare il male chiamato Covid

A.A.A. Attenzione cercasi… per non sottovalutare il male chiamato Covid

Sono una vedova del Covid-19.

In marzo il virus è entrato in casa mia e in una manciata di giorni si è portato via il mio compagno. Ora vorrei parlare a tutti quei ragazzi che, giustamente, hanno voglia di riprendere la vita normale e spensierata di pochi mesi fa, interrotta di colpo da questa nuova brutale realtà, che non conoscevamo. Ma con la quale oggi dobbiamo fare i conti e convivere. I mezzi di comunicazione, purtroppo, ci informano che l’attenzione si è alleggerita e, nello stesso tempo, che l’età media del contagio è scesa. Sembrava che il virus colpisse solo gli anziani, invece oggi quasi la metà dei nuovi contagiati ha meno di 24 anni. Le regole per proteggere se stessi e gli altri sono piccole ma vitali, e le sappiamo tutti. Perciò quando vedo le immagini di gruppi di ragazzi che vanno in giro fregandosene del distanziamento e delle mascherine, mi chiedo: ma davvero per voi è più importante fare l’aperitivo in piazza e assembrarvi con gli amici?

Ammalarsi di Coronavirus è una tragedia non solo per chi si infetta, ma soprattutto per le famiglie e per chi vi vuole bene. Immaginate l’angoscia di chi sta a casa ad aspettare, ogni giorno, la chiamata dei medici che li aggiornano sulle vostre condizioni di salute; visto che nessuno può venire a trovarvi e siete SOLI, separati dai vostri più cari affetti e probabilmente (anzi sicuramente) SPAVENTATI, tra medici e infermieri che sembrano usciti da un film di fantascienza, e che rischiano la loro vita per salvarvi, se tutto va bene. E se tutto va male, invece, vi ritrovate in terapia intensiva, con un tubo in gola. Non potete avere idea dello stato di una madre, di un fratello che vi aspettano, con quelle poche notizie che un giorno sono in salita e il giorno dopo possono precipitare in un abisso di dolore.

Riuscite a rendervi conto che, con un comportamento idiota, mettete a rischio voi stessi (e fin qui potrebbero essere solo fatti vostri), ma anche persone sconosciute, che magari hanno una famiglia, una moglie, dei figli, dei genitori che sono a casa ad aspettare e che poi sono costretti a chiamare un’ambulanza e vedersi portare via la persona amata, verso un crudele percorso fatto di dolore e solitudine.

Vorreste davvero, per una passeggiata in piazza o una serata in discoteca, accalcati, senza mascherina, far passare tutto questo ai vostri parenti? Io non so il mio compagno dove possa aver preso il Covid. Era un uomo sano e attento, che non beveva e non fumava, e non andava più in palestra, perché le avevano già chiuse. Poi, un giorno, gli è venuta la febbre che non passava mai e piano piano faceva sempre più fatica a respirare. Ambulanza. Ospedale. Rianimazione. Io in quarantena per quindici interminabili giorni, con l’ansia della telefonata quotidiana e nient’altro. Un giorno la speranza e un altro l’angoscia. Poi la catastrofe: “Ci spiace, signora, non ce l’ha fatta. È deceduto stanotte”.

Questa è una tragedia che può accadere a chiunque, persone sconosciute o familiari: e purtroppo dipende anche dal comportamento incosciente e menefreghista di troppi. Ecco, io spero che tra quei troppi non ci siate anche voi. Divertitevi pure, ma non regalate la vostra vita e quella degli altri a quel farabutto di virus. Cavolo, ragazzi, in fondo vi si chiede solo di mettere una mascherina e non una camicia di forza. Dal cuore.

Alessandra Lamberti-Bocconi

Phi Beach – Porto Cervo

Cos’altro aggiungere? Perché, in certi casi, a parlare di numeri, elencare le cifre suona quasi di ridicolo e, peggio ancora, di noioso.

Chiacchiere di questi giorni: i positivi al Covid – evidenza dei tamponi – tornano ad aumentare; la fascia media di età si è abbassata; il virus sembra, al momento, meno accanito; vedremo se ci attenderà una seconda ondata… e bla, bla, bla.

Chiudiamo il sipario per un istante, perfavore. E facciamo silenzio.

Smettiamola di parlare di Briatore che sta male. Discoteche sì, movida no e via dicendo… delle prove di Ballando sospese (Samuel Peron – ballerino della trasmissione – è nella lista, interminabile, dei contagiati), in via precauzionale. Smettiamola di stilare l’elenco degli appestati dell’ultima ora, Vip o non che siano: Aida Yespica, Antonella Mosetti… persino il più coutorier di tutte le Dive de ‘noantri’, Federico Fashion Style, non ne è stato risparmiato.

Accade. Accade punto e basta. Non c’è un merito. Non esiste un demerito. Esistono, però, i fatti. E, con essi, le persone. E’ questo il caso di una donna di Milano (chiamiamola pure Madam X – tanto il nome cosa importa? Potrebbe essere chiunque, con qualunque volto addosso) che, alla perdita del compagno, ha voluto dare testimonianza della propria esperienza. O meglio, ha voluto che quel suo dolore non risultasse invano.

Il compagno di Alessandra Lamberti Bocconi – perché un nome ed un cognome, la donna ce li ha – Felice Garrone, avrebbe compiuto 62 anni tra poche settimane. Nel mese di marzo ha accusato i primi sintomi riconducibili al Coronavirus: febbre, problemi respiratori… sempre meno gestibili a casa. È stato ricoverato in ospedale, il 22 marzo. Due giorni, con ventilazione assistita. Poi, le condizioni sono ulteriormente peggiorate. Dunque: terapia intensiva.

Tempo un mese… “Mi hanno chiamata per dire che stava meglio e l’indomani lo avrebbero stubato“. Nemmeno due giorni, e il 19 aprile l’uomo “Era morto“.

Straziante. Già di per sé. Il calvario, però, è solo all’inizio. Poi si aggiunge l’isolamento. Un mese e mezzo ‘al confino‘ (tra parentesi, non le è mai stato fatto il tampone); la spesa, ricevuta grazie alla disponibilità dei ragazzi di Emergency. L’impossibilità ad uscire, lasciarsi abbracciare, farsi consolare… oppure viversi il proprio lutto con la dignità meritata. Niente. Perché si fa così. Perché è giusto così, nel rispetto degli ‘altri’.

Si rivolge ai ragazzi, Alessandra, soprattutto, e a quanti si addossano comportamenti irresponsabili, rei di una superficialità che, come bene ci ha insegnato, non conosce la parola perdono.

Spiace non poter fare di più, se non offrire un palco a chi – fra tanto rumore – la voce la usa per esprimere qualcosa di estremamente vero e sentito. A chi, della personale esperienza, desidera farne un invito a riflettere; un punto di partenza per non sbagliare ancora. Per non farlo, di più.

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