Camorra Capitale ‘mangia ‘ sulla ristorazione
13 persone – 8 in carcere e 5 ai domiciliari – indagate, a vario titolo, per estorsione e fittizia intestazione di beni, aggravati dal metodo mafioso, in aggiunta all’esercizio abusivo del credito.
L’istantanea appena presentata riguarda 14 ristoranti, siti nell’area centrale della Capitale, posti sotto sequestro da parte della DDA, in una tra le numerose operazioni dei carabinieri del Nucleo Operativo.
“I ristoranti sono di Angelo Moccia! Tu lo sai chi? Vedi che c’hanno un’organizzazione… che per spaventarmi io che l’ho conosciuto ultimamente… ti dico…spaventosa! Spaventosa! Non ti dico quanto! Capisci a me, nonostante li conosco da anni… Stanno nei Tribunali! Comunque… I ristoranti di Roma sono tutti loro! Tutti! Non riconducibili!“. Testimonianze, che lasciano ben poco all’immaginazione. Del resto, vox populi…
Destinatari dell’ordinanza, dunque, per ritornare ‘a bomba’, Angelo e Luigi Moccia, capi dell’omonimo clan camorristico originario di Afragola (NA), storica organizzazione, già apertamente in vista tra gli anni ’80 e i ’90.
Un business niente affatto modesto che, nello specifico, ha visto coinvolte le zone più In della città: da Fontana di Trevi al Pantheon; Trastevere, piazza Navona, Castel Sant’Angelo; da via della Conciliazione a via Veneto, a via di Tor Millina; fino ad interessare anche via del Banco di Santo Spirito.
Si punta alto, insomma.
“La malavita è arrivata a controllare cinquemila locali tra ristoranti, pizzerie e bar, con l’agroalimentare che è divenuto una delle aree prioritarie di investimento della criminalità. Ne comprende la strategicità in tempo di crisi, perché consente di infiltrarsi in modo capillare nella società civile e condizionare in quotidiano delle persone“, riferisce Coldiretti.
Ed ancora: “Le infiltrazioni… sono particolarmente preoccupanti, in questo momento in cui la ristorazione, per l’emergenza Coronavirus, rischia un crack da 34 miliardi, nel 2020. A causa della crisi economica, del crollo del turismo e del drastico ridimensionamento dei consumi fuori casa degli italiani“.
Il burattinaio e le sue 5000 marionette – per l’appunto – manovrate a cuor leggero. Configurate secondo i dettati della necessità e la certezza – o poco meno – dell’impunibilità. Ciò grazie, soprattutto, alle defàillance dell’economia legale.
L’opportunità del ‘pugno duro’ si snoda attraverso le maglie dell’usura. Un modo per incrementare il già vasto numero di attività illecite, acquisendo sempre maggior controllo sugli esercizi ristorativi, sia all’interno della Penisola, sia oltreconfine.
Pesa la carenza di liquidità, inevitabile conseguenza della pandemia, ulteriore scacco alle aziende, che ne ha accresciuto lo stato di vulnerabilità. Per varie ragioni, sono in molti coloro non più in grado di sostenere le spese. Esborsi astronomici, in proporzione al ‘tesoretto’ a disposizione.
Una sorta di cappio al collo – per farla breve – in cui l’alternativa consisteva (e consiste), più che altro, nel decidere se piegare la testa di fronte alla Camorra o fare ricorso alle banche. E, anche sull’argomento, ci sarebbe tanto da dire…
Gli interessi, d’altronde, nessuno escluso, sono intuibili.
“La malavita si appropria di vasti comparti dell’agroalimentare e dei guadagni che ne derivano, distruggendo la concorrenza e il libero mercato legale e soffocando l’imprenditoria onesta. Ma anche compromettendo in modo gravissimo la qualità e la sicurezza dei prodotti, con l’effetto indiretto di minare profondamente l’immagine del Paese“.
“Gli ottimi risultati dell’attività di contrasto confermano la necessità di tenere alta la guardia…“ Ettore Prandini, Presidente Coldiretti, a tal proposito non mostra esitazioni: “in questo contesto è importante che il bonus ai ristoranti sia ben indirizzato, per salvare dal rischio usura le strutture e sostenere l’intera filiera agroalimentare Nazionale, dai campi alla tavola“.
Una brutta storia, ci viene da concludere. E una strana prudery sguscia tra i pensieri… Insinua che si tratti – quanto accade – solo della punta di un iceberg. Che la nave Italia abbia sbattuto contro uno scoglio ben più esteso e che, se per tempo non ci si rende conto della gravità della situazione, l’imbarcazione, come la storia insegna, rischia ‘nuovamente’ di affondare.
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