Quando la morte ha i tratti innocui di un uccellino
Più efferato di Zodiac, più crudele di Ted Bundy, più ‘nero di Joseph De Angelo, il famigerato Golden State Killer. Ora, un’inesorabile condanna a morte pesa sulla testa del ‘killer di Twitter‘, spietato assassino, che si è guadagnato credito e nomea adescando le vittime proprio sul social network. Meticoloso, selezionava con accuratezza i soggetti più vulnerabili, giovani aspiranti suicidi e, dopo aver tolto loro la vita, ne faceva carneficina. Una vicenda da manuale, quella di Takahiro Shiraishi. Per l’assassino, che ha terrorizzato l’opinione pubblica giapponese per stagioni e stagioni, è dunque stabilita la pena.
Per comprendere meglio questa storia, bisogna fare rewind. Riavvolgere il nastro di tre anni e tornare agli accadimenti che, allora, sconvolsero l’opinione pubblica.
Tra agosto e ottobre 2017, un ragazzo e 8 giovani donne – tra questi una minorenne – svanirono nel nulla. Ci si rese presto conto di quel che li accomunava: un intento suicida, pubblicato esplicitamente sui rispettivi mezzi internet. Un grido d’aiuto, velato o forse rincuorato dalla tecnologia. Un messaggio, afferrato – evidentemente – dal soggetto meno indicato. Shiraishi si offrì di dare loro una mano… un incentivo, per accelerarne la dipartita.
Le indagini presero il via con la scomparsa di una 23 enne. Il fratello della ragazza avvertì la polizia, quando trovò sul suo profilo Twitter una serie di post sospetti. Dopo un cospicuo accavallarsi di esami, si arrivò, dunque, a ricondurre le ricerche in quel di Zama, cittadina distante appena 50 km da Tokyo. Qui, aveva la residenza il 30 enne. Ecco, allora, che la mattina del 31 ottobre 2017, gli agenti si presentarono alla porta del sospetto, ritrovandosi – loro malgrado – in quella che fu individuata e descritta come La casa degli orrori.
Proprio il giorno di Halloween – beffa del destino – si prestò ai loro occhi uno spettacolo, a dir poco terrificante: 9 teste e una catasta di resti umani, smembrati. Braccia e gambe, rigorosamente conservati in banchi freezer. La prova regina, inclemente ed aperta confessione di quanto l’unico inquilino dell’appartamento aveva commesso. Inevitabile, l’arresto.
Nel corso del processo, come prevedibile, sono emersi inquietanti dettagli. Gli investigatori sono venuti a capo del modus operandi adottato dal Serial Killer. L’uomo, in sostanza, era solito invitare le vittime prescelte nel suo appartamento, offrendo assistenza, per poi strangolarle e smembrarle. Non si è risparmiato, talvolta, neppure di derubarle. Le ragazze, poi – compresa una 15enne – sarebbero state stuprate, a rendere ancor più macabro un racconto già raccapricciante di per sé.
Lo scorso 30 settembre, di fronte alla corte di Tachikawa, il giovane assassino si è dichiarato colpevole di tutte le accuse. Ha rifiutato perfino i consigli degli avvocati, rinunciando – in maniera lucida – ad un’eventuale riduzione di pena. Ha confessato – freddo – di aver ucciso contro la loro volontà, illustrando passo dopo passo la strategia messa in atto per sedurre i malcapitati, fino a descrivere – sempre nel dettaglio, la dinamica degli omicidi.
E’ datata 15 dicembre 2020 la sentenza, emessa durante l’udienza definitiva. La Corte ha deciso, per l’assassino, la condanna a morte.
Una faccenda, questa che, per quanto triste o agghiacciante – dipende da come la si vuol guardare – fa luce su un’altra situazione, non meno preoccupante; vale a dire l’alto tasso i suicidi registrato in Oriente. Si conta sia individuabile come la prima causa di ‘scomparsa’, negli individui di fascia compresa fra i 15 e i 39 anni.
Solo nel 2019, 20.169 cittadini nipponici si sono tolti la vita: 659 avevano meno di 20 anni. Il dato più drammatico, dal 2000.
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