Quando vanno di moda le serie Tv. Anzi, quando la moda la fanno
In fondo, è solo una serie. L’ennesima, ad intrattenerci sul divano di casa, in un momento in cui uscire rassomiglia più ad una chimera. E allora mettiamoci comodi e lasciamo che, a farci compagnia, siano le piattaforme con le loro proposte, più o meno accattivanti.
E’ questo il caso di “The Undoing – Le verità non dette“, intrigante, sin dal primo episodio.
Anzi, ci spingiamo più in là, sin dalla sigla, melodiata dalla voce d’usignolo di una Nicole Kidman che ci accarezza e ci ammalia, al primo istante. Studiata apposta dall’abilità di chi l’ha diretta – per l’occasione Susanne Bier – la trama prende le mosse, ispirandosi al romanzo “Una famiglia felice” di Jean Hanff Korelitz.
HBO e Sky, dunque, si sono tirate su le maniche e attivate, ancora una volta, per perorare la causa del ‘Qui non si perde un colpo’. E pare che la faccenda funzioni.
Per via dell’ambientazione, forse, nella high society newyorkese; la sceneggiatura, probabilmente, non regala nulla che non si sia già visto, ma il talento, quello degli interpreti principali, è indiscusso.
Così, Donald Sutherland, Hugh Grant e Nicole Kidman, tre colossi tra le stanze di Hollywood, si avvicendano, in quanto a vocazione, sfoderando le loro armi migliori. Stoccate, di cui sono vicendevolmente protagonisti, che lasciano lo spettatore affascinato, desideroso di saperne di più, anche quando tutto è prevedibile. Oh, non che lo sia. Niente affatto.
Il gioco, anzi, è proprio questo, spostare l’attenzione da un capo all’altro dei possibili sospetti per confondere ancora di più le acque, intricare lo scenario e condurre l’occhio di chi assiste verso infinite derive. Tutti sono colpevoli qui, o potrebbero esserlo, senza esclusione di colpi.
Raccontare la sinossi significherebbe spoilerare e quale maggior torto, per uno spettatore sinceramente interessato? Ci limitiamo, pertanto, a sottolineare che la storia ruota attorno a una famiglia dell’Upper West Side di New York, composta da padre, oncologo di fama (Grant); madre psicologa (Kidman); nonno benestante – tanto – e potente (Shuterland) e ragazzino dodicenne (Noah Jupe), iscritto alla scuola più costosa della Metropoli. Individui, la cui vita verrà sconvolta quando una persona, apparentemente distante dal loro mondo, sarà oggetto di un crimine efferato.
Non sfigura, nel cast, a tenere alta la bandiera tricolore, neppure l’italianissima Matilda De Angelis, mai così ambigua ed attraente, prima, sul Grande Schermo. Ma la partita, quella vera, si gioca sui due protagonisti. Il primo, Grant, familiarmente gigionesco, conserva intatto il fascino british che ha saputo renderlo famoso. Tuttavia, girato l’angolo l’aspetta – merito forse dell’età – una raffigurazione assai più oscura ed enigmatica…
Gli occhi della Kidman sono, invece, gli stessi che abbiamo imparato a conoscere in The Others. Nonostante il feroce ricorso alla chirurgia, con tanto di pentimenti in allegato, basta uno sguardo per trasportarci in ogni suo stato d’animo, per farci intendere, nel silenzio, quel che non va. Persino la chioma – di fuoco – è quella ritrovata – eredità di un lontano passato in cui la ‘nostra’, ancora agli esordi, si rivelava già talentuosa, accanto all’uomo che poi avrebbe sposato.
Ebbene, la carta su cui si gioca e si determina questo sottile Poker sta nella complicità tra i due attori, intenti a farci credere quel che non è. O meglio, a svelarsi piano piano, per quel che realmente sono.
Il lato buio, l’altra parte di sé, si rende intuibile, gioco al ‘vedo non vedo’, esattamente come le scollature maliziose, che mai spogliano della classe chi le indossa.
Eccoci, allora, intrappolati nel tentativo di rapire l’anima ai personaggi, non coscienti, nel frattempo, che il vero spirito in gabbia è il nostro, incollati allo schermo, affamati nel seguire, passo passo, gli stilemi inconfondibili del giallo.
Via via, buone maniere, sorrisi, atteggiamenti di circostanza si dileguano, per fare largo alla vera natura di ciascuno. L’aria di impeccabilità, con lo scorrere degli episodi, si macchia, per fare posto all’emotività, ai segreti di coppia, ad un’affettività edificata sul disagio e, per questo, ancora più sinistramente solida.
Nulla unisce come l’amore… o la morte. E allora sia. Il resto è scritto. Rimangono i luoghi, frequentatissimi, di una Grande Mela che denuncia, avanti a tutto, esclusività e quei capi d’abbigliamento che più ricercati non si potrebbe. Intenzione minimal-chic di chi potrebbe permettersi di indossare di tutto, ma non lo fa per carineria.
Non annoia, insomma, questa fascia di puntate impregnata di stile, basata sul rimpallo tra false piste, create ad arte per dissimulare – a fronte di chi è in attesa, da casa – la verità. Un thriller, che si rifà ad un’atmosfera classica, senza sottrarsi alla contemporaneità. Per questo funziona. Perché persino quel tratto velatamente hitchcockiano non guasta, anzi. Ben misurato, sembra calzare a pennello su tutto il resto, senza far rimpiangere la derivazione originale.
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