La sottile differenza tra vincitore e vincente…
Ve ne siete accorti? La musica è cambiata. Nel senso che suona ‘realmente’ diversa. Sono mutati i mezzi con cui la ascoltiamo – il primo modello Ipod sta giusto per festeggiare i 20 anni – e il digitale ha contribuito ad accelerare la manovra.
Non si tratta più, dunque, del solito binomio strofa/ritornello, a cui – peraltro – ci siamo abituati in men che non si dica. Dagli anni ’60 agli ’80 la formula è trasvolata dal 42% all’82% dei brani. Ma di uno stile, del tutto contemporaneo, influenzato solo a tratti dall’avvento della musica elettronica che pure, lo ammettiamo, ha inciso.
Qui, la parte del Leone la fa lo streaming, con il corollario di tempi rapidi, poco inclini alla riflessione. Del resto, il vinile, per quanto – sorta di Lazzaro resuscitato – in via di ripresa, in qualità di oggetto vintage, è ormai, dal punto di vista pratico, dimenticato e in sua compagnia, lo sono pure Cd, audio-cassette, con il rischio sempre più evidente di diventare desueti, persino radio e televisione.
Si corre – e si gareggia – per mezzo delle opportunità offerte dalle app e il vero ‘nemico’ si tinge non tanto del nome di un fantomatico avversario quanto, piuttosto, delle distrazioni – innumerevoli – offerte dal cellulare.
Bando, dunque, al refrain, oggi esiste l’hook, vale a dire il gancio, tramite il quale catturare l’attenzione dell’ascoltatore. Un passaggio – per meglio comprendere – strumentale, ideato al fine di invogliare alla ripetizione ossessiva. E giacché le piattaforme, generalmente, non pagano se l’ascolto non supera i primi 30 secondi di un brano, gli autori sono incentivati ad utilizzare il materiale migliore, proprio ad inizio di canzone.
Senza citare i vari Billie Eilish, Calvin Harris, Rihanna, Justin Bieber… basti pensare al genere Trap o ai nuovi brani in cui i flow si rincorrono, avvicendandosi, sorta di Frankenstein, targata generazione Z. E c’è, poi, da considerare, l’elemento durata. I minuti d’ascolto sono anch’essi diminuiti, sintetizzati, in replica alla cultura stream, che prevede pezzi più brevi e magari, nello stesso album, in maggior quantità.
Tutto a discapito della qualità? Non è detto. Certo, si tratta di una sfida, ma è la vita che ce lo insegna: si cresce, solo passandoci attraverso. Così, può capitare, ad esempio, che un ragazzo di soli 18 anni decida, un bel giorno, di partecipare ad un talent. Faccia d’angelo, occhi di ghiaccio, ma questo poco importa – anche se fa – e che, pur non brillando dal punto di vista dell’intonazione riesca, per il personale talento, a far man bassa, via via, di premi. Disco d’oro, di platino, lungo il percorso, per accaparrarsi, nella serata finale, non il Primo premio, che quello lo ha lasciato alla fidanzata – tra l’altro talentuosa, va detto e trovata all’interno dello show – ma tutto quel che avanza. O meglio: il premio della Critica, il premio Radio e il premio Siae. Il resto è storia. Ha fagocitato, il ragazzino, tutto il possibile e lo ha fatto meritatamente, parlando, appunto, un linguaggio nuovo, fresco, che sa di futuro.
Si è distinto per non essersi piegato – volontariamente o no, questo è affar suo – alle dinamiche del meccanismo televisivo per rimanere, sempre e comunque, se stesso. E di sé ha fatto emergere un animo fondamentalmente puro, schietto, altruista. Non rinunciando mai alla sua età per una maturità che non gli è richiesta, se non nel momento in cui compone.
Sorta di Cupido dei giorni nostri, ha affascinato il pubblico per la capacità di modernizzare l’antico, di svecchiarlo e attualizzarlo. Metterselo addosso, come fosse una bella maglietta, per poi, subito dopo, scegliere di indossarne un’altra, dal sapore diverso, e rendere altrettanto credibile pure quella.
Lui – Sangio – scrive, e lo fa con uno modus operandi decisamente personale e, per questo, riconoscibile. Già sotto contratto con la Sugar, prima ancora che si giungesse all’epilogo. Del resto, c’era da aspettarselo. E sorride. Se lo si guarda negli occhi non si scorge – almeno non fino ad ora – alcun moto di invidia, alcuna restrizione, per un’indole che denuncia solo voglia di libertà e sete di espandersi, ovunque gli venga permesso.
Perché scriviamo questo e, soprattutto, cosa c’entra con il discorso precedente? Ebbene, perché la risposta – a nostro avviso – è tutta qui, nella potenza della comunicazione. Vince, ad oggi, l’incisività. Si fa leva sulla pancia e se l’impatto è viscerale, per il resto c’è poco da fare.
Quanto poi conti alzare una coppa tra le braccia o no – capite bene – è un discorso riduttivo. Il biondino dai capelli d’angelo ha già vinto, perché vincente lo è dentro e si vede. E, pur giovane, ne è cosciente egli stesso. Con quel suo fare un po’ sdrucito e l’atteggiamento scomposto, porta in giro la sua musica, diffonde il suo sentire e ci trasporta nel suo mondo, lasciandoci addosso unicamente il rimpianto, e la nostalgia, di non avere – ancora o ancora per un po’- la sua età.
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