Per l’estate io mi vesto… così

Per l’estate io mi vesto… così

Sul tramontate degli anno ’80, fu la biondissima e curvilinea Pamela Andérson a sdoganarne il senso… e pure l’utilizzo. Sorta di pezzo unico sgambatissimo, il baykini si impose all’universo femminile, quasi surclassando il due pezzi. Pensare che, fino ad allora, rappresentava un must per le sole donne in attesa, tant’è che, dal bikini al topless, talvolta, il passo era decisamente breve. Eppure… lo scollo provocante, la tinta che, nella riproposizione rossa rappresentava il punto d’origine, lo resero ben presto un indumento sexy da sfoggiare, capace di sottolineare le forme e valorizzarle.

Addirittura, negli stessi anni, Shape Magazine, rivista collaudata riguardo al mondo del fitness, volle riservargli grande spazio. Fece, anzi, di più. Si adoperò in un sunto del lungo cammino dei costumi da bagno, elencando ogni possibile variazione su tema, a partire dal quel lontano 1946, anno dell’ideazione.

Innanzitutto, cambiò la forma dello slip. La mutandina si face sgambata, stando a sottolineare il punto vita e il lato B. Ed ogni stilista ne declinò una personale rilettura.

Lo string bikini, l’antesignano, era caratterizzato da laccetti, che tenevano insieme slip e reggiseno. Il monokini, invece, altrimenti detto numokini, era ripartito in due sezioni, una superiore e una inferiore, collegate tra loro da lembi di tessuto. Ingannevole rappresentazione di un costume intero senza, tuttavia, esserlo. Ma neppure un due pezzi. Una scelta di sicuro effetto, in quanto ad estetica, ma certo poco congeniale, quando si trattava di avviarsi alla conquista della tintarella.

Per le più audaci, l’alternativa la rappresentò il seekini, un due pezzi decisamente hot. A causa del tessuto adoperato, trasparente, poco o nulla lasciava all’immaginazione. All’estremo opposto, per le più pudiche e attente alla salute della propria pelle, spiccava – di contro – il tankini, dotato di maglietta, spesso giromanica ma aderente, e slip quasi coprente, pensato per i fisici curvy. Sulla stessa scia, fu creato il camkini: stesso concetto ma, al posto della maglietta, c’era una canotta.

E, se, rispetto alle linee, praticamente ci siamo, per quel che attiene alle fantasie, sempre gli anni ’90 si rivelarono un florilegio di colori. Ci si poteva sbizzarrire tra disegni tropicali, righe, pois e tinte fluo. Sul podio? Fucsia e giallo, insolenti e vivaci, all’epoca, la facevano da padroni.

Secondo lo storico della moda, Olivier Saillard “l’emancipazione del costume da bagno è sempre stata legata all’emancipazione delle donne“. Prova ne è, il fatto che l’85% dei bikini non ha mai toccato l’acqua.

Del resto, stando agli esperti: “il bikini rappresenta un salto sociale, che include un’acquisizione di consapevolezza del proprio corpo, preoccupazione morale e attitudine sessuale“. Quindi, non è mai stato importante che il due pezzi entrasse in mare, quanto, piuttosto, che venisse indossato.

Emblema di libertà conquistata a fatica e ribadita, anche solo per mezzo di un piccolissimo lembo di stoffa.

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