Fuga in quella Capitale trasteverina che… non ricordavamo più
Può un appartamento rendersi rivelatorio, statuario ma, allo stesso tempo, funzionale? Evidentemente sì e la riprova ce la offre, senza troppo tergiversare, pesino nel nome: Casa Totem, pied-à-terre trasteverino, assurto a destinazione travel e, recentemente, ridisegnato dal team di STUDIOTAMAT.
Lo spazio, di appena 65 metri quadrati, è una vera e propria sintesi in sottrazione. Ideato per accogliere fino a quattro persone, si sviluppa riempiendo un puzzle di piccole stanze, posizionate perfettamente ad incastro. Così gli arredi che, di fatto, popolano l’ingresso, le due camere da letto, l’angolo cottura e la zona living, riposta ragionata e codificata al concetto di flessibilità e trasformismo.
Immaginato come riferimento ‘mordi e fuggi’ per chi arriva da fuori, qui non c’è istanza per gli orpelli. Si mira, piuttosto, al cuore delle cose: alla dinamicità dell’abitare e alla realizzazione di “un intervento contemporaneo di design, in continuità con il passato“. Parola degli stessi architetti, che hanno abilmente lavorato a calibrare le peculiarità storiche delle aree a disposizione, con elementi di matrice contemporanea. Ne è scaturito – come facile intuire – un gioco di contrasti, con la conseguente – per rubare le parole ai ‘nostri’ – performance di “ambientazioni eterogenee e di carattere“.
Del resto, il progetto rispetta la vocazione del quartiere in cui si trova, tinto di nuance, fredde e calde, in alternanza tra loro. Specchio, peraltro, dell’innumerevole quantità di botteghe, che hanno finito per segnare la storia, in queste vie della città. E le soluzioni – altrettanto prevedibile – si declinano su misura, dagli arredi all’illuminazione.
Sulle pareti, rivivono, messi a nudo, gli smalti originari dell’epoca. Al centro, inizio e fine del layout e dell’organizzazione delle stanze, il totem. Sorta di quinta scenografica, rappresenta l’escamotage, per nascondere i punti intimi del vivere quotidiano. Così, si scoprono, al di là, una delle camere da letto e un passaggio che conduce ai servizi, illuminato da una vetrata a tutta altezza e arredato con un piccolo cucinino, sul fondo, disegnato ad hoc.
D’altro canto, il monolite racchiude, internamente, una multifunzionalità, all’apparenza insospettabile, grazie alle armadiature, ai ripiani e alle luci. Non solo. Si rivela in tutta la sua utilità, per via dell’imponente piano orizzontale, in legno laccato nero, concepito come seduta per il tavolo da pranzo o come chaise-longue.
A firma del lavoro, le matite di Tommaso Amato, Matteo Soddu e Valentina Paiola, per un anglo di realtà, che vuole la Capitale riproposta, secondo uno scenario differente da quello tipicamente turistico e sceglie, piuttosto, di manifestarsi in maniera autentica. Un luogo non luogo, data la posizione strategicamente nascosta, figlio di una palazzina, a sua volta d’epoca. Un regno pressoché introvabile, perla di una Roma ormai inesistente, in cui l’ospitalità detta – comunque e ancora – una sola regola: sentirsi a casa.
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