La strana vicenda di Madame Royale e la teoria del 19
Charlotte… Carlotta: è così che mi chiamo. Anzi, no: Maria Teresa Carlotta di Borbone. E’ questo il mio nome completo.
Non sapete chi sono? Ve lo spiego, sono una sopravvissuta. Faccio parte di quei pochi – o molti – che hanno incamerato, su di sé, l’olocausto. E, per tale, intendo una vera e propria devastazione. La decimazione di quel che vi era attorno. O, più semplicemente… una fine… ed un nuovo inizio.
Pensate che, quel 19 dicembre 1778, data della mia nascita, tutto lasciava presagire un epilogo diverso. Fausto, ricco. Dopo tutto, sono nata a Versailles. La primogenita, la fortunata erede di Maria Antonietta d’Austria e del suo… illustre consorte. Niente di meno che il re in persona, Luigi XVI. Cos’altro mancava per prefigurare un futuro felice?
Se ci rifletto adesso… banalità. Mia madre – povera donna – mi aveva soprannominata, da bambina, Mousseline la serieuse. Chissà, probabilmente per via della mia indole. Ero ribelle, dal carattere forte… possedevo quel che oggi definiremmo temperamento e questo, in parte, disturbava. Mi rendeva ostile agli insegnamenti, o meglio, a quel che si pretendeva da me. Così, si decise di farmi crescere accanto ad una contadina, mia coetanea. Una compagna di giochi, tale fu Marie Philippine Lambriquet, al fine di addomesticare in me i difetti ed impreziosirmi il cuore di… umiltà.
Rido ancora. Ero la figlia del Re. Perché mai avrei dovuto essere umile?
10 anni. Solo 10 anni della spensieratezza dovuta ai bambini. Ecco cosa, in realtà, imparai. Lo sfarzo di Corte, la mondanità… divennero, in un lampo, fantasmi. Non rimase che quel nero dell’abisso e il rosso, del sangue di una Rivoluzione che, a dire il vero, nemmeno mi riguardava. Non ero pronta… Cosa potevo saperne Io delle loro cose da grandi? Invece fui obbligata a crescere ed in tutta fretta. Esigenza primaria, per salvare l’unico bene che di me, oramai, possedevo: la mia vita.
Il 13 Luglio del 1792 mio padre, la figura più eminente della Francia di allora, venne arrestato e noi con Lui. Ci condussero presso la Torre del Tempio. Lo giudicarono colpevole di cospirazione contro la libertà. Fu un battito d’ali… condannato a morte. Dopo la sua esecuzione, il 21 gennaio dell’anno successivo, la ghigliottina strinse tra le sue braccia anche mia madre, il 16 ottobre.
Fine della storia o, almeno, fine della favola della Delfina di Francia, o anche, solo, di una bambina.
C’è chi, in me, scorge una sorta di moderna Antigone. Scatenano la mia ilarità e, insieme, risale pure l’amarezza. Io non ho chiesto di essere quel che, poi, sono stata. Ho dovuto aggrapparmi alla vita, a quel poco o tanto che, da allora, mi fu concesso dalle circostanze, per non affondare.
Mi hanno lasciata ammuffire in una prigione, separata persino da mio fratello. Lui aveva appena 8 anni… Morì, l’8 giugno 1795, in seguito ai maltrattamenti e alla tubercolosi. Morì anche mia zia che, nel frattempo, si era presa cura di me. Allora divenni, per tutti, l’Orfanella del Tempio, citata nelle canzoni, menzionata nei poemi, nelle recite… dovrei richiederne i diritti?
Mi liberarono, è vero, ma fui adoperata alla stregua di merce di scambio. Sei prigionieri francesi detenuti in Austria, al posto mio.
Tant’è. Un secondo 19, datato, stavolta, dicembre 1795, segnò la mia rinascita. 17 anni e i miei occhi avevano già visto ciò che, alcuni, non riescono ad immaginare in un’intera esistenza. Iniziai a peregrinare per l’Europa. Mi rifugiai, infine, a Vienna, presso mio cugino, Francesco I. Come spiegarvelo, lì mi sentivo al sicuro.
Che illusa… troppo ingenua, ancora, per accorgermi di come la mia presenza, invece, risultasse ingombrante. Era pieno di nobili fuggiti alla Rivoluzione. Pusillanimi, traditori. In quale altro modo avrei potuto valutarli, se non con un estremo disprezzo?
L’appartenere ad un certo lignaggio comporta anche l’essere eroi? Che dirvi… Io ho sempre subito l’obbligo di assolvere ai miei doveri. Mi sono sposata, secondo volontà di chi lo aveva stabilito per me, con il duca d’Angouleme, figlio del conte d’Artois, che un giorno sarebbe divenuto re, con il nome di Carlo X.
Luigi Antonio di Borbone Francia mi impalmò, nel 1799. Vi confesso…. molti attribuirono all’unione il senso di una speranza. Vollero immaginarvi il prosieguo di una dinastia ma – ahimè – il mio affezionato consorte era impotente. Il destino ti beffa, alle volte, si prende gioco di te… Tu lo sai, ma non puoi far altro che tacere… e subire. E quando l’animo prende ad agitarsi, nel momento in cui l’irrequietezza ha il sopravvento, non ti resta che metterti in viaggio… per cercare di pacarlo.
Così feci, per lungo tempo. Tornai in Francia solo in concomitanza della prima e seconda Restaurazione. Poi, nel 1830 mio suocero abdicò in favore di suo figlio ed Io divenni, agli occhi dei legittimisti, la nuova regina di Francia e Navarra, moglie di un virtuale Luigi XIX che, tuttavia, non salì mai su alcun trono.
Partii di nuovo, alla volta dell’Inghilterra. Soggiornai in Scozia, presso il Castello di Praga, dal 1832 al ’36; poi, nuovamente, mi trasferii, stavolta a Gorizia.
Il 3 giugno 1844 rimasi vedova. Me ne andai anche Io – non sto a tediarvi – pochi anni a seguire, nel 1851, a causa di una polmonite. Era ottobre, il 19.
Ecco ed ecco, pure, consegnato al vostro sentire, il resoconto delle ‘avventure’ di Madame Royale. Peripezie, riassunte, per chi fosse curioso, in un ritratto, rintracciabile, ad oggi, nella città di Palermo, presso Palazzo delle Aquile, attuale sede del Comune.
Avevo, allora, 18 anni ed ero evidentemente – lo testimoniano le due urne raffigurate nel dipinto – a lutto, per la perdita dei miei genitori. Come il quadro sia potuto finire da queste parti rappresenta, ad oggi, un mistero. C’è chi ipotizza sia stato trasportato sull’isola da mia zia, Maria Carolina, nel periodo del suo esilio. Che importa, poi… soprattutto… a chi, importa.
Ironia della sorte, ne esiste persino una copia, negli uffici della questura di Caserta. E’ firmata J.F. Pascucci, 1796. E, ancora, un ennesimo ritratto, assai simile, si trova – tutt’ora – a Vienna.
In verità, ciò che rimane è la bellezza di un tempo che fu. Un tempo che, bello, non fu mai. Eppure, la fierezza nello sguardo; il franco rivolgersi al pubblico sono incisi sulla tela, effigie di qualcosa che mi sono portata appresso per tutti i miei anni. Napoleone in persona disse di me che ero “…l’unico uomo della famiglia dei Borboni“.
Forse. Forse ero, semplicemente, una donna, che mal celatamente riusciva ad esprimere se stessa, in un mondo declinato al maschile. Un universo di inetti, a mio parere. Pavidi, meschini… creature fragili, come a me non è mai stato permesso di essere.
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