Parliamo di gonne… Reali
Gonne… per tutte. Anzi, no, minigonne. Ed alcune, più di altre, sono e sono state capaci, chissà poi perché – di fare scalpore. Magari, per via delle gambe di chi le indossava, come nel caso di colei che, per numerosi anni, ha ricevuto l’appellativo di Royal Rebel.
D’altronde, siamo abituati a vederla sempre rigorosa, vestita secondo i dettami di protocollo, pregna del contegno che solo il membro di una famiglia dall’elevato lignaggio sa mantenere.
Al funerale di Elisabetta i suoi modi di fare non hanno lasciato dubbi. Eppure… c’è stato un tempo in cui i giornali britannici non perdevano occasione per sbattere la nostra in prima pagina, per via dei suoi comportamenti – pensate il paradosso – fuori dalle regole e per via, pure, delle sue fabulous legs. Erano lunghissime, snelle e modellate dall’equitazione.
Niente affatto ortodossa
Ecco, abbinate un dato di fatto ad un atteggiamento, il più delle volte, anticonformista, ed otterrete un summa, che si concretizza in uno spirito indomito e nel carattere vagamente sovversivo di una Principessa pioniera. La prima, per chi non lo sapesse, ad avere l’ardire di indossare una gonna molto più corta dei due centimetri sopra il ginocchio, consentiti dall’etichetta. E lo fece, non a caso, proprio nel pieno degli anni ’60, nel momento in cui il successo del capo d’abbigliamento lanciato da Mary Quant toccava il suo apice.
Una prima volta, datata 7 settembre 1968, con il mondo attorno simile ad una polveriera, caratterizzato dalle rivolte studentesche e dalla rivoluzione, pure, sessuale; e mentre la musica cambiava, in tutti i sensi, Anna, con i suoi 18 anni, restava a guardare, rintanata dietro le finestre di stanze nobili, almeno all’apparenza ma che, in quel frangente, assumevano più la parvenza di prigione. L’unico modo, dunque, per ‘partecipare alla Festa’ era inviare una serie di messaggi attraverso l’unica cosa che potesse esporre e, cioè, la sua immagine.
Capricciosa… o solo libera?
Così, l’opportunità si presentò quel fatidico giorno, in Scozia, a Braemar, giunta per assistere agli Highland Games come rappresentante della Corona, insieme all’allora principe Carlo e alla principessa Margaret. E se l’erede al trono indossava il tradizionale kilt e sua sorella un soprabito a motivi incrociati, verdi e azzurri, e un cappello a cloche nero, l’atra figlia di Elisabetta e Filippo ebbe l’impudenza di sfoggiare un tailleur in lana azzurra con bottoni dorati, guanti neri, décolleté a tacco basso e un cappello bianco. L’orlo della gonna – a tradimento – era almeno un palmo sopra le belle ginocchia da sportiva. Le gambe erano nude o tali sembravano, talmente le calze erano trasparenti. Persino Carlo – ironia della sorte – vestiva una gonna più lunga della sua.
Fotografata, commentata, persino sostenuta oltre la porta di casa, chi, al contrario, la attendeva carica di disappunto era sua nonna che, al ritorno, le fece una bella lavata di capo. “Le donne non dovrebbero mostrare le ginocchia, perché sono brutte“, le disse. Tanto avrebbe dovuto bastare ma i dubbi, inevitabilmente, fanno capolino giacché, neppure troppe settimane a seguire Anna, alle prese con uno scatto ufficiale insieme a tutta la famiglia, sfoggiava nuovamente, noncurante, un miniabito verde. Frivola quanto bastava, ardimentosa, a dispetto di ordini e regolamenti; ma sempre carica di una gran classe.
LEGGI ANCHE: Strada di un successo targato Swinging London
LEGGI ANCHE: Vivienne Westwood: straccivendola consacrata all’Houte Coture