Letto, letto… quando ti ho incontrato?
Ah… dormire, dolce dormire… e chi non ama, almeno un po’, poltrire tra le coltri calde, accovacciato al riparo dal freddo? Già, ma l’idea che abbiamo oggi del riposare non è da sempre la stessa. I nostri antenati avevano, al riguardo, tutt’altro pensiero. Oggi sappiamo bene, del resto, quanto il sonno sia importante. Un buon riposo ristoratore, fatto di sane norme da seguire. Andare a letto più o meno alla stessa ora, ad esempio, e dormire sette o otto ore di seguito, per poi svegliarsi pronti ad affrontare il nuovo giorno. Altri ritmi, rispetto alle consuetudini tipiche di chi è vissuto prima dell’avvento dell’illuminazione artificiale.
Nel Medioevo, per dirne una, la notte veniva suddivisa in due fasi. Ci si coricava al tramonto – spiegano gli esperti – e si rimaneva svegli per circa un’ora nel cuore del buio, prima di tornare a letto, fino al mattino. Era il tempo, quello, riservato alla veglia, da dedicare alle preghiere. Poi si ritornava a letto e magari, non riuscendo a riaddormentarsi nell’immediato, si passava ad attività… leggermente più piccanti.
La pratica dei rapporti intimi, del resto, era spesso consigliata dagli studiosi del tempo, convinti che, a quell’ora, non solo facesse bene, ma si potesse provare persino un piacere più intenso. “Entrambe le fasi del sonno avevano all’incirca la stessa durata. Le persone si svegliavano poco dopo la mezzanotte, per poi tornare a riposare. Non tutti, ovviamente, seguivano gli stessi orari“.
“Più tardi si andava a letto, più tardi ci si alzava dopo il sonno iniziale; oppure, se ci si coricava dopo la mezzanotte, ci si svegliava solo all’alba“, si specifica. Tanto, d’altronde testimoniano i diversi testi e manoscritti che raccontano dell’epoca. Altre prove indicano, addirittura, che il sonno bifasico fosse in uso dovunque, come testimonierebbe il resoconto che fece della sua avventura a Rio De Janeiro, nel 1555, il sacerdote francese del XVI secolo André Thevet.
Descriveva, il prelato, il popolo indigeno del Brasile dei Tupinamba, asserendo che era solito mangiare ogni qualvolta avesse appetito e che, di sovente, consumava qualcosa tra il primo e il secondo sonno. Tant’è.
Altra accezione, nei tempi passati si dormiva… insieme. Ci si coricava vicini, al fianco dei parenti più stretti, oppure di inservienti e viaggiatori sconosciuti. A contatto, pure, con cose… assai più ripugnanti: insetti, cimici… non facevano eccezione neppure i pidocchi. I comfort? Chi se lo poteva permettere, dormiva su un materasso imbottito di paglia e stracci; mentre le persone più abbienti adoperavano un materasso composto di piume. Quanto ai meno fortunati, si rannicchiavano su piante di erica o direttamente sul pavimento.
Ancora più interessanti, le rigide convenzioni sociali. Ci si raccomandava di evitare il contatto fisico e l’eccessivo movimento. Inoltre, a ciascuno veniva assegnata una posizione specifica, da mantenere durante il sonno. “Per esempio, le bambine di solito dormivano su un lato del letto, la più grande delle quali si posizionava più vicina al muro, seguita dalla madre e dal padre, poi dai figli maschi – sempre disposti per età – e infine dalle persone non appartenenti alla famiglia“.
Niente a che vedere, certo, con i comportamenti attuali. Eppure è sempre bello conoscere le radici di quel che oggi ci caratterizza. Nulla è da dare per scontato, tanto meno gesti che compiamo, senza nemmeno rendercene conto. Così è il letto, indispensabile elemento del nostro vivere. Territorio di conquista, a quanto pare, per chi ci ha preceduti.
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