Quando Six senses coincide con lusso…
“La sfida è stata disegnare i nuovi contorni dell’ospitalità firmata Six Senses, spostandosi in città“. Ennesima impresa, dunque, per un gruppo che dell’hotellerie a cinque stelle – ma dall’effigie easy – ne ha fatto il proprio marchio di fabbrica. Lusso – e su questo non ci sono dubbi – riscritto apposta per avvicinare i clienti ad un più moderno concetto di comfort.
Come entrare – secondo la volontà di chi se ne è occupato – in un’oasi di pace, molto ben arredata. Dalla foresta al deserto, oggi ci si spinge ad affrontare il climax cittadino, decisamente più ostico. Basta, però, rintracciare gli agganci giusti e la questione si rende immediatamente più fluida… e fruibile. Il dialogo con la Città eterna è, da questo punto di vista, soprattutto culturale. Appropriarsi di uno tra i palazzi storici, che sorge accanto alla chiesa di S.Marcello, poteva rimanere un privilegio. Al contrario, si è trasformata in un’occasione di scambio: il gruppo ha, infatti, deciso di occuparsi del restauro della Chiesa.
Suggello di cura, calore, casa, cibo, competenza del lifestyle, l’ultima idea di soggiorno ‘de noantri‘ si presenta sotto forma di colori polverosi, materia, pietra e legno. Gli spazi, a loro volta, risultano ampi, ariosi, rassicuranti, contaminati dall’arte del nuovo che s’insinua, con massimo rispetto, in tutti gli angoli dello storico palazzo che abita il cuore della Capitale, dal 1400. 96 camere, in tutto, di cui 30% suite, 2 super suite con terrazzo e una spa.
Quanto si traduce, a più larga gittata, come percezione del bello, sensibilità, chiarezza d’intenti e che si qualifica, poi, nel risultato.
Coerenza, circolarità e recupero sono stati, in breve, i binari su cui progettare. L’obiettivo, ridare splendore alle fondamenta del luogo da ristrutturare. Via libera, pertanto, al riuso e all’uso del travertino in varie forme (complessivamente, 5 mila metri quadrati); materiale, presente – peraltro – anche sulle pareti degli ascensori e abbinato al sempiterno marmo e al coccio pesto. Di ultima generazione, questo e facilmente pulibile e aggiustabile, in caso di necessità.
Dall’ingresso al dehor, passando per il resto, un filo rosso amalgama bene gli ambienti. Narrazione, che ricrea una dimensione di profondo raccoglimento, riscontrabile sia nel giardino esterno che negli oltre 700 metri quadrati di terrazza, accerchiata dai rooftop romani, dalla vista impagabile.
Grande attenzione alla storia, alla biodiversità, alla sostenibilità, all’italianità, persino. Sono tutti nostrani gli artisti coinvolti nel piano, a ciascuno dei quali è stato commissionato un lavoro site specific, presente in ciascuna stanza e corridoio dell’hotel.
Una sosta, in particolare, la meritano la suite 102, l’unica con soffitto affrescato e la suite Mellini, che eredita il nome da una delle famiglie che hanno posseduto il palazzo. C’è poi, non meno coinvolgente, il ‘disegno’ dedicato al benessere, fisico ed emotivo. La spa – nel dettaglio – si pone su due livelli: il piano zero costiuisce la parte secca; al meno uno, la sezione umida mantiene, invece, le sembianze di un tipico bagno di età romana. Hammam, Tiepidarium, Frigidarium, fontana di ghiaccio, area relax, sala yoga e meditazione, wellness screening e un Alchemy bar, dove riprodurre le creme a base di erbe aromatiche: non manca, insomma, proprio nulla.
Neppure, sia ben inteso, la ricerca del gusto, in senso stretto, vale a dire la proposta culinaria, varia e rispettosa del km meno. I sapori sono stagionali, le aziende agricole convocate per fornire il meglio della personale proposta, anch’esse puntuali.
LEGGI ANCHE: Assai più di un’Abbazia. Qui siamo in Hotel…
LEGGI ANCHE: Colombe D’Or: tana di artisti, bacino di cultura