Pensioni: c’è sempre tanta, forse troppa carne al fuoco…

Pensioni: c’è sempre tanta, forse troppa carne al fuoco…

Pensioni, oramai da tempo protagoniste di una sorta di soap opera. Numerose, di fatto, sono le puntate di un appuntamento – quello con il rinnovo – che va avanti da anni, senza snodo. A tal proposito, continuano ad accavallarsi proposte, idee, ipotesi, per poi, puntualmente, ritrovarsi al punto di partenza, con la riforma Fornero immarcescibile, nonostante la determinazione a superarla.

Attualmente, sul tavolo dell’Esecutivo Meloni, in vista del varo della manovra di fine anno, c’è la questione della Quota 84. Nuova misura – attuabile per le donne – che partirebbe dai 64 anni di età, con 20 anni di contributi. Sorta – per dirla tutta – di pensione anticipata contributiva.

Ebbene, buon senso vuole, o vorrebbe – secondo il desiderio di molti – che la manovra venisse allargata anche ai signori maschi. A chi, in sintesi, ha lavorato da prima del 1996, permettendo a ciascuno di scegliere personalmente sul da farsi. Tradotto in termini spicci si parla, ancora in questo caso, di flessibilità. Manovra che – per altro – riuscirebbe a dirimere parecchi nodi, consentendo allo Stato di anticipare i pensionamenti ai lavoratori, senza tuttavia dover subire perdite enormi, dato il ricalcolo.

Effettivamente, le iniziative ideate negli anni non si contano… si parlava, ad esempio, di uscita a 62 o 63 anni, ma con un taglio lineare di pensione in base agli anni di anticipo, rispetto ai 67 previsti di regola. Anche l’ultima versione di quota 41 per tutti segue la medesima direzione delle penalizzazioni obbligatorie. Con taglio lineare – in questo caso – ma con ricalcolo contributivo. La perdita, in pratica, dipende dall’ammontare degli anni di contributi che il lavoratore ha accumulato, prima del 1996.

Ovvio, le controindicazioni, dal punto di vista del calcolo degli assegni, sono inevitabili ma tant’è.

I lavoratori e i loro rappresentanti pretendono di poter uscire prima dal lavoro. Lo Stato è disposto a varare norme che agevolino le uscite, ma deve considerare anche la spesa pubblica. Due posizioni distanti, che trovano convergenza solo di fronte a nuove iniziative, evidentemente flessibili e penalizzanti. A ben pensarci, è anche questione di equità: chi decide di restare al lavoro deve poter ottenere qualcosa in più rispetto a chi, al contrario, preferisce anticipare i tempi.

Oggi la pensione anticipata contributiva si centra con 64 anni di età e con 20 anni di contributi, rispettando due condizioni aggiuntive:

  • Il primo contributo – cioè – a qualsiasi titolo versato deve essere successivo al 31 dicembre 1995
  • L’importo della pensione non deve essere inferiore a 2,8 volte l’assegno sociale (1.409 euro circa al mese, per il 2023)

Limando quest’ultimo vincolo, si potrebbe allargare la misura anche a chi non rispetta la prima condizione aggiuntiva. Ma è, per ora, unicamente un pourparler. Rimane il fatto che, a decidere, in ultima battuta, deve essere il lavoratore, calcolando cosa ci rimette e cosciente di cosa, eventualmente, lascia anticipando i tempi.

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