I.A.: pregi e difetti di una rivoluzione già in atto
800.000. Eccolo, il numero dei posti di lavoro messi a rischio dall’Intelligenza Artificiale, nel giro – più o meno – dei prossimi dieci anni. Mai si è discusso così tanto sull’argomento, per una questione che rimane di ampio respiro.
Dal 17 novembre, il destino di Sam Altman, l’uomo a capo dell’azienda che ha creato il software ChatGPT – in grado di produrre testi in linguaggio naturale, in base alla richiesta dell’utente – è sulla bocca di tutti o, quanto meno, di tutti i giornali.
Non Tanto poiché il capo di una start-up valutata quasi 90 miliardi di dollari è stato licenziato – per poi venire immediatamente riassunto – quanto perché gli strumenti che sta sviluppando – capaci di scrivere un saggio al posto di uno studente, una sceneggiatura al posto di uno sceneggiatore, o di consigliare un assicurato al posto di un interlocutore umano – sembrano possedere tutte le carte, per cambiare la traiettoria dell’economia globale.
A prefigurare il medesimo orizzonte, Elon Musk, a sua volta investitore in OpenAI, sorta di LAB gestito proprio da Altman. Ebbene, l’imprenditore ha stimato – senza troppe scappatoie – che si arriverà al momento in cui le risorse umane risulteranno superflue. C’è chi smentisce, al riguardo, ma tant’è.
Di fatto, se volessimo suddividere – per dire – in 400 il campo delle diverse professioni, per ognuna potremmo trovare il relativo compito da automatizzare. In altre parole, un robot potrebbe fare ciò che fa, ad oggi, l’uomo, oppure potenziarne i risultati. Tecnologia che prende piede, a scapito della manodopera, nell’accezione attuale.
Nel caso di una segretaria, ad esempio, uno o più programmi software potrebbero occuparsi di verbalizzare le riunioni, gestire la documentazione, rispondere alla posta… D’altro canto, l’IT potrebbe svolgere funzioni, a più alto valore aggiunto: ricevere i visitatori, rispondere alle chiamate importanti, organizzare fisicamente le riunioni.
Se ne deduce che almeno un terzo delle professioni, da qui a breve, subirà il confronto, talvolta impietoso, con le avanguardie. “L’impatto è significativo“, ne convengono gli esperti.
Ovvio, si salva dal paragone chi opera manualmente. Il ChatGPT non sostituirà un idraulico, un falegname o un parrucchiere, anche se, a margine, le aziende potranno usufruire comunque di strumenti più aggiornati per le funzioni accessorie.
Diverso è il discorso per i colletti bianchi. I lavori amministrativi (199.000), i servizi di contabilità (140.000), gli impiegati (100.000) e i receptionist (80.000) rientrano tra coloro che hanno maggiori probabilità di essere automatizzati. Né vengono risparmiate le funzioni creative. Giornalisti, sceneggiatori, grafici, tutti fanno parte dell’elenco, dacché l’IA generativa non produce solo testi, ma anche voci e immagini.
Le donne, poi, hanno maggiori probabilità di essere colpite, rispetto agli uomini. Circa il 36% è esposto, rispetto al 30% dei colleghi maschi.
D’altro canto, c’è chi pensa in positivo.
Paradossalmente, alcune tipologie occupazionali potrebbero addirittura crescere, grazie all’intervento dell’IA generativa, nelle mansioni di minor peso. Le persone potrebbero, in pratica, ritrovarsi più produttive. Un insegnante, ad esempio, potrebbe generare istantaneamente un dettato adatto alle particolari difficoltà di ogni suo alunno. Un falegname potrebbe produrre rapidamente piani e specifiche e così via.
“Le aziende stanno valutando come migliorare la loro produttività utilizzando questi strumenti, ma aumentare la produttività non significa necessariamente ridurre l’occupazione. È questo il punto”, fanno sapere dalle alte sfere. Del resto, anche la rivoluzione digitale “ha trasformato enormemente la nostra economia, ma la disoccupazione non è aumentata per questo. Anzi“.
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