Firenze: fucina di geni… e scelleratezze
Artisti, architetti, scrittori, filosofi, filologi e uno stuolo di generosi committenti. Questo fu, in sintesi, il Rinascimento, gloriosa epoca di un’Italia dal sistema politico stabile; dalle idee effervescenti; dalle potenzialità, per una volta, espresse.
Tra il secolo XV e il XVI il dominio dei Medici, per buona parte; le teorie Machiavelliche, dall’altra; le ambizioni di Lorenzo il Magnifico; il contributo – non irrilevante – al pensiero platonico e l’apertura verso l’esoterismo operata, insieme, da Marsilio Ficino e Pico della Mirandola agirono in modo tale che architetti, pittori, scultori potessero ornare le proprie città con le rispettive opere, spinti anche dalla munificenza delle famiglie più ricche.
Dai Medici ai Rucellai, in particolare, questa era Firenze. Foraggiata dalle loro finanze e in mano a geni che, in ogni caso, non facevano nulla per modulare la loro sregolatezza.
- Filippo Brunelleschi (1377 1446) fu, partendo dai presupposti fin qui accennati, il primo architetto moderno. Basti pensare alla cupola di Santa Maria del Fiore. Un ‘mago’, anticonformista, persino nella scelta degli strumenti di cui servirsi. Famoso, pure, per le sue burle spietate. Una su tutte? In compagnia di altri amici, riuscì ad ingannare un ebanista rispetto alla sua identità. Vicenda – peraltro – narrata nella Novella del Grasso legnaiuolo, capolavoro della prosa del Quattrocento, fonte d’ispirazione per la saga cinematografica, in versione assai più moderna, di Amici miei
- Michelangelo Buonarroti (1475 – 1564), a sua volta, potrebbe paragonarsi ad una rockstar. Intoccabile, benché rissoso; beffardo nei confronti dei disegnatori suoi colleghi. Provocatore, strafottente, financo nei confronti dei committenti più rinomati. Pare – per dirne una – che, in fase di stesura degli affreschi della Cappella Sistina, il nostro non desiderasse scocciatori. Ebbene, lo stesso Giulio II, il pontefice, dovette rimanere a lungo in attesa fuori dalla porta, chiusa a chiave
- Michelangelo, con le sue gesta – più o meno lecite – tracciò le linee del manierismo e del Barocco. Benvenuto Cellini (1500 – 1571) ne ereditò i tratti, in tutti i sensi. La sua autobiografia è un susseguirsi di pugnali, vendette, veleni, risse, fughe, accuse di sodomia, nonché la celebre evasione da Castel Sant’Angelo. Una testa calda, condannato a morte a soli venti anni d’età. Cellini aveva preso a pugnalate un orafo suo rivale e, già che c’era, anche un terzo uomo, intervenuto nella lite
- Appartiene, poi – quota rosa – al quadro appena tracciato, anche Artemisia Gentileschi (1593 – circa 1652). Pittrice di valore, studiò con Agostino Tassi lo Smargiasso, virtuoso della prospettiva, non – evidentemente – dei sentimenti; tanto che stuprò la ragazza. Il caso fu denunciato dal padre di Lei, quando tramontò ogni speranza che l’uomo riparasse ai suoi torti. Lo Smargiasso fu condannato, al termine di un lungo processo, umiliante più per Artemisia che per se stesso. Tassi prese cinque anni di carcere, commutabili in esilio perpetuo da Roma e fu questa la soluzione che scelse
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