Grazie, maestro Allevi!

Grazie, maestro Allevi!

Potemmo parlare delle classifiche. Potremmo accennare all’idea, inedita e vincente, sotto più punti di vista, di far presentare i cantanti da altri cantanti; i loro stessi antagonisti eppure, in quel preciso istante, investiti del doppio ruolo di padrini-madrine e figliocci. Potremmo parlare dei Co-co, vale a dire Co-conduttori che, in queste sere, si sono avvicendati, sorprendendoci alcuni, ribadendo il loro molteplice talento, altri.

Insomma, potremmo… ma, ad onor di cronaca, non lo facciamo. Scelta pensata, mirata, voluta. Evitando un presenzialismo che, probabilmente, dato il gran chiacchierare generale, arricchisce di poco o nulla le pagine del Web. Al di là, tuttavia, di quel che più o meno strettamente appartiene al gossip, oltre l’ostacolo dei primi, secondi, terzi, quarti e quinti arrivati, nelle varie sere, che questo solo – accennavamo – è dato sapere, ci piace spenderle, due parole, e ci interessa, in favore di un messaggio che ci ha commossi, tutti, unanimemente.

Qualcosa che, una volta tanto, risulti non solo inclusivo – parola di cui oggi ci si abbevera con estrema leggerezza – ma si manifesti come riflessione oggettiva, super partes. Punto di vista unico ed unilaterale della realtà. Così, sale nuovamente sul palco dell’Ariston, ma potremmo ugualmente dire torna ad esibirsi – in una versione assai più ampia del concetto – il maestro Giovanni Allevi.

Luce e buio, per descrivere una malattia – il mieloma multiplo – che lo ha consumato e di cui ancora se ne intuiscono le tracce. Le mani tremano, almeno fin quando non toccano i tasti del piano, preparato apposta per il suo ritorno.

I capelli – i ricci di sempre – si sono fatti canuti. Eppure, la ‘faccetta’ rimane immutabile, quella del Peter pan da cui ci siamo separati qualche tempo fa. E’ commosso mentre parla, mentre si dona e trasforma il male ricevuto in bene per gli altri. Sembra così fragile… E, sia pur nel ricordo del momento difficile, al di là del preambolo, non riesce a fare a meno di tirare fuori quella vena involontariamente ‘comica’ che, unica, lo contraddistingue e lo veste di poesia.

Un Pierrot dei tempi moderni. Eterea figura – è esile il suo corpo, longilineo, fino al punto da risultare scavato… consumato – che, però, si staglia con tutta la potenza della sua volontà, su quel palco riconquistato a fatica.

Rammenta di quando, ad ascoltarlo, c’erano 15, al massimo 20 persone e commenta, ironico: “Stasera, mi pare, siamo più di venti!“, suggerendo che mai e poi mai bisognerebbe darsi per sconfitti. Luogo comune, in altre circostanze, forse, che però, nel contesto, acquista valore, poiché esce dalla bocca di chi, certe parole, può permettersi di pronunciarle.

All’improvviso mi è crollato tutto. Non suono più il pianoforte davanti ad un pubblico, da quasi due anni. Nell’ultimo concerto il dolore era così forte che, all’appaluso finale, non riuscivo ad alzarmi dallo sgabello“.

Sembra intimidito. Di certo, emotivamente coinvolto, per quello che si prefigura come un nuovo inizio. “Lo faccio?” Minaccia scherzoso. “Lo faccio?“, ripete, occhi negli occhi con Amadeus e poi sfodera tutto il coraggio che deve avere a disposizione per svelare, sollevato il cappello, il suo volto di adesso.

Nulla è cambiato. Nulla è più come prima, ci viene da riflettere. Si vede. Si vede attraverso quella solarità e determinazione nello sguardo, che travalica i discorsi. Si siede. Poi, una volta comodo, prende a suonare. Tomorrow è il titolo de brano. Un domani carico di speranze, forte di un futuro di cui si sono poste, evidentemente, le basi. “Non si contano le albe e i tramonti che ho ammirato dalla stanza dell’ospedale“. Chissà quanto tempo deve avergli rubato il dolore. Chissà quanta voglia di recuperare…

Non potendo più contare sul mio corpo, suonerò con la mia anima“. Inutile, anche a cercare momenti di tristezza, anche a voler rovistare, nell’aspettativa di uno sguardo spento o demotivato. Lui stordisce, risoluto, a suon di sorrisi, con quel suo fare eternamente sorpreso. “Come se il dolore mi porgesse doni inaspettati; come se avessi strappato alla mia fine una manciata di anni e voglio viverli più intensamente possibile“. E’ Standing Ovation.

Tomorrow – torniamo a noi, miseri terreni – come quello che ci aspetta, a breve, pronto a svelarci il vincitore della Manifestazione targata 2024. O forse no, questo, magari, in qualche modo, ce lo ha già fatto comprendere… lì, sui quei pochi metri quadri rialzati c’è un Campione. Un numero Uno di vita. Uno che, a ben guardare, ha tanto da insegnarci e non si risparmia. Uno, per cui è valsa la pena posizionarsi qualche ora davanti allo schermo e decidere: “Stasera, guardo Sanremo“.

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