Quel Sanremo, fenomeno di costume. Altro che solo canzonette…
Sanremo, come Kermesse e come manifestazione di stravaganza.
Il Festival chiude i battenti. Il sipario si vela, nuovamente, almeno fino alla prossima occasione. Missione compiuta. Parlano, a tal proposito, gli ascolti, che hanno la voce più imponente di tutti (14.300.000 ascoltatori, l’ultima sera, pari al 74.1% di share).
Ma la regola a lasciare il segno non è certo di oggi. Chi lo fa, attraverso l’incisività della sua performance, compresa – pure – di outfit singolari; chi, con la forza comunicativa del brano portato sul palco; chi, grazie ad una voce ‘da brivido’.
Fatto sta, adesso come ieri, noi spettatori assistiamo, puntuali, ad uno spettacolo, destinato a rimanere impresso nella storia della tv.
Qualche esempio? Siamo nel 1965 quando, per la prima volta, l’Ariston sdogana l’Oriente, con tutta la sua tradizione. Yukari Itō, cantante tra le più famose dei gloriosi sixties, nota – nella terra da cui proviene – nelle vesti di attrice, indossa il Kimono.
Gli abbinamenti con gli artisti stranieri, d’altronde, spalancano le finestre sul mondo e, stranamente, è più frequente che siano i nostri i più bizzarri, a fronte di capelloni londinesi, band folk statunitensi, interpreti che si dipingono a meteore, o desiderosi di stabilirsi, a breve, nello Stivale.
Un Sanremo che, negli anni ’70, si vuole ‘libero’, svincolato dalle sovrastrutture che lo avevano imbrigliato fino ad allora. Fanno bella mostra di sé, porgendosi agli occhi un po’ sgomenti degli spettatori, altrimenti abituati, jeans, scollature audaci e persino travestimenti.
Moda, che guadagna ulteriore terreno, all’alba degli ’80.
Ci si presenta al cospetto del pubblico con look studiati. Ingegnati apposta per destare scalpore. L’intenzione, anzi, lo scopo degli interpreti è accendere la curiosità, far parlare. I loro nomi, o quelli di alcuni, si perderanno via ma, in qualche caso, basta citarne l’immagine, per riaccenderne il ricordo.
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