Avetrana e tutti i valori da tutelare…
Avetrana. Qui non è Hollywood. E non è neppure fiction o scegliete pure voi come chiamarla. Il prodotto – di fatto – che sarebbe dovuto andare su piattaforma streaming il 25 di ottobre dà forfait. Non per volontà degli autori o di mamma Disney (ad esso associato), sia ben chiaro, ma per colpa o merito – dipende dai punti di vista – del Tribunale di Taranto, che ha disposto la sospensione della serie, su istanza del collegio difensivo del comune di Avetrana. Titolo e ambientazione avrebbero, stando all’accusa, diffamato il paesino pugliese, descrivendolo alla stregua di una “comunità ignorante, retrograda, omertosa, eventualmente dedita alla commissione di crimini efferati di tale portata, contrariamente alla realtà“.
Frammenti di un omicidio – quello di Sarah Scazzi, avvenuto nel 2010, che continua a far discutere e poco hanno potuto, almeno finora, la stessa Disney e la consocia Groenlandia che, tuttavia, fanno sapere che “non concordano con la decisione del Tribunale” e che “faranno valere le proprie ragioni, nelle sedi competenti“. Un provvedimento, del resto, quello appena emesso, “in assenza di contraddittorio tra le parti“.
Davide contro Golia: il sindaco di un comune di si e no 6000 anime, contro il Colosso dell’audiovisivo. Tant’è.
BLOCCATA
Lo stop alla serie, presentata in anteprima lo scorso 18 ottobre alla Festa del Cinema di Roma rappresenta, secondo Anica e Apa, una decisione “senza precedenti“, priva di qualsiasi giustificazione giuridica.
Del resto, “si limita a raccontare fatti di risonanza pubblica oggettivamente legati a un determinato contesto, storico e geografico, come tante volte capitato in passato“. Per questo, “il blocco preventivo della serie appare come una grave lesione di quel principio di libertà di espressione, chiaramente tutelato anche a livello costituzionale e che deve essere garantito al racconto audiovisivo italiano“.
“Obbligare le opere audiovisive a non fare riferimenti alla cronaca e alla realtà è un pericoloso precedente. I titoli basati su fatti realmente accaduti sono una costante della storia del cinema, indipendentemente dalle opinioni del pubblico o dei protagonisti sui fatti trattati, se si mantiene il rispetto verso le comunità coinvolte“.
PUNTI DI VISTA
Sul caso interviene anche il regista, Pippo Mezzapesa: “Credo che il limite di un narratore debba essere il pieno rispetto delle storie che si va a raccontare e delle persone (perché è sbagliato parlare di personaggi) con cui si va a vivere, che si vanno ad esplorare, che si vanno a sviscerare“. Secondo Rovere, produttore della serie, “è la Costituzione stessa che sancisce la libertà degli autori e delle autrici di esprimersi e di raccontare il presente, di raccontare la realtà, di raccontare la contemporaneità, di raccontare il mondo in cui viviamo, anche proprio con l’obiettivo di elevare lo spirito critico e, quindi, di non addormentare chi ci guarda ma provocare riflessioni, provocare analisi“.
Al bando l’idea di un’eventuale diffamazione – è la Legge stessa a dirlo – ci sono forse i presupposti perché venga accolta la richiesta di cambiare titolo, sbianchettando il nome del Paese. Il punto è che gli accadimenti rimangono, piaccia o meno e che, magari, si sarebbe dovuto riflettere prima, nel momento in cui realmente la piccola frazione pugliese è stata cannibalizzata da curiosi e telecamere. Ora c’è il racconto, scomodo o meno, dei fatti e nulla di più.
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