…e adesso ti vengono a dire che piace solo algli avvoltoi

…e adesso ti vengono a dire che piace solo algli avvoltoi

Qui non è Hollywood e, badate bene, non è neppure Avetrana. Non, almeno, stando al sindaco o agli abitanti della piccola frazione salentina – un paese di sì e no 6.000 anime – finito all’attenzione delle cronache per via di un fatto, a dir poco raccapricciante. L’omicidio di Sarah Scazzi, meglio ancora, l’omicidio di una ragazzina, qualsiasi ragazzina… avrebbe, del resto, fatto accapponare la pelle a chiunque, in qualsiasi zona della Penisola fosse avvenuto, per qualsiasi ragione; per di più, perpetrato dai parenti.

Un agosto 2010, pertanto e, con esso, i mesi a seguire, inquietante, per protagonisti della storia, per i residenti del posto; per tutti, in generale, che fare i conti con la morte non è mai facile. Con questo tipo di situazioni, lo è ancor meno.

Dunque, oramai lo sappiamo, Disney Plus insieme a Groenlandia decidono di rimettere sul piatto la faccenda. Le battute di ricerca, il ritrovamento del telefonino da parte di Zio Michele, il garage, la confessione… Accadimenti, passati al setaccio non solo dalle parti inquirenti, come di dovere, ma da tutti; da uno stuolo, soprattutto, di curiosi, morbosamente attratti, invogliati ad effettuare gite turistiche, addirittura, pur di vedere, pur di intrufolarsi nelle dinamiche di un racconto macabro e insensato e ricavarne, magari, una foto, se non – nel caso più fortunato – un attimo di gloria. Vana, gloria, che poi tutto, si sa, è destinato a morire…

Il fuoco, anche quello più recalcitrante, si spegne e lo sguardo cambia indirizzo. Si sposta, laddove si prefigurino nuovi pozzi da visitare, nuovi cancelli da far assurgere ad icona, più freschi personaggi da emulare. Anti eroi, questi ultimi, che non fanno certo da monito ma occorrono, ugualmente, per scaricarsi la coscienza e poter pensare che noi ‘mai e poi mai’ riusciremmo ad essere come loro.

Non m’assomiglia per niente…’, ripeteva Johnny Stecchino nella pellicola di Benigni, ricordate? Ebbene, se appena vi soffermate a riflettere, qui vale il medesimo concetto.

Evitando di divagare, dopo giorni di accesa querelle, il titolo della serie è stato modificato, con buona pace degli interessati e spogliato di un nome, ritenuto fortemente identitario. Troppo, identitario. Poi ieri, finalmente, la messa in onda, sebbene con cinque giorni di ritardo rispetto alla intenzioni iniziali. Ed è ulteriormente polemica.

“Se tutta questa cosa piace alla madre di Sarah allora va bene ma se non le piace.. chiaro che solo gli avvoltoi potevano farci uno (show)biz“. I commenti, sui Social, si avvicendano e – chi più chi meno – suonano unanimemente.

Il progetto – va detto – si articola in quattro puntate, ognuna narrata secondo la prospettiva di uno dei protagonisti. Si parte dalla vittima, per poi passare al punto di vista della cugina Sabrina e così via… ricostruzione, stando alla carta, perfetta e inossidabile, compresa la selezione degli attori e il rifacimento al trucco, che li rende ‘sovrapponibili’ ai veri, innocenti o colpevoli, del racconto reale.

Un’accorata e precisa ricostruzione di quel che ci ha raccontato, a suo tempo, la cronaca. Nulla di più. Chiaro è che, se di una vicenda ricca di misteri stiamo parlando, la medesima complessità rivive, adesso, su piattaforma, colma di domande tuttora senza risposta, di ombre, cicatrici e lati bui, con tutto quel che ne consegue.

True crime ed ecco spiegato il genere. Per alcuni, furba manovra di marketing eppure, paradossalmente e proprio attraverso la pellicola, per ogni persona/personaggio si offre l’opportunità per recuperare la propria umanità. Delitto, che si è trasformato in ossessione, ignaro portavoce di un malessere che si è via via ingigantito, esacerbato, lievitando; summa, a sua volta, di un surplus di malesseri in coro, uguali e diversi insieme ma ugualmente intrisi di una stanchezza profonda e maldissimulata.

Avetrana (ma sussurriamolo piano, che non si può dire). Avetrana, da comporre a poco a poco, sorta di cornice scontenta e insoddisfatta di una provincia trascurata, trasandata, sudaticcia. Avetrana, trattata come si fa con i panni sporchi, accumulati da una parte, magari, e messi via, affinché nessuno si accorga della loro presenza scomoda.

Certo, Qui non è Hollywood e, anche al riguardo, ci sarebbe molto da dire. Resta il fatto che questo, suo e nostro malgrado, è il set di un crimine turpe e riprovevole, che ha visto condannata senza possibilità di uscita la vita di un’adolescente. Sarah resta, attraverso i fotogrammi. Rimane, per mezzo del girato, l’istantanea di una 15enne che non era un angelo, né un demonio. Ne emerge la fotografia di una tra le tante crisalidi in procinto di trasformarsi in farfalla, affamata di vita, affascinata dal mondo sconosciuto e più adulto che le si presentava davanti, egoista quel tanto che basta, o bastava, per accaparrarsi ciò che di diritto, a suo parere e vista l’età, le spettava.

Il resoconto di Pippo Mezzapesa è crudo e sincero, ma rispettoso. Costantemente ancorato ad una verità che si è scritta da sola e che non chiedeva altro che essere trasportata sullo schermo. Non cè compiacimento, non c’è indugio nel narrare le vicissitudini di quanti presi ad esame.

No, non è Hollywood. Non è peggio. Non è meglio e non è neppure Avetrana, a pensarci bene. Questi siamo noi e, probabilmente, è di questo, prima di ogni altra considerazione, che dovremmo acquisire coscienza.

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