Il grade dono degli Ebrei…
‘Radici‘ che, spesso, è sinonimo di tradizioni. E le nostre ‘radici’ si fondano su basi giudaico cristiane, che inevitabilmente hanno finito per influire, nel trascorrere dei secoli, a plasmare non solo la Società ma anche le tradizioni gastronomiche ad essa attinenti.

Nel suddetto contesto, la cucina Ebraica italiana costituisce un vero e proprio patrimonio culinario, che si è sviluppato nel corso di oltre duemila anni. Risultato, quest’ultimo, dovuto alla presenza continua e radicata delle tante comunità, sparse in più regioni dello Stivale.
Cucina, che riflette i dettami alimentari legati alla religione in questione ma, inevitabilmente, finisce per essere influenzata dalle materie prime locali e dalle abitudini del territorio d’appartenenza. I primi gruppi, d’altronde, stabilitisi nella Roma Repubblicana del II secolo a.C., vantano una storia antichissima.
Poi, dopo la Capitale, le influenze di usanze provenienti da lontano sono giunte fino a Napoli e a Venezia, giusto per fare qualche nome. Diktat, noti con il nome di Kasherut, a regolare quali cibi siano permessi (kosher) e come debbano venire preparati.
Sì e No della cucina Kasherut
Dunque, vietato il consumo di carne di maiale e di alcuni frutti di mare e insindacabile la separazione tra carne e latticini (divieto, quest’ultimo, derivante dalle indicazioni della Bibbia). Restrizioni che, tuttavia, hanno sponsorizzato e agevolato lo sviluppo di ricette particolari e tecniche di preparazione uniche.
Così, ad esempio e ciò premesso, alcuni piatti sono assurti allo stato di vere e proprie celebrità, guadagnandosi un posto d’onore nella classifica dei più gettonati. Tale è per i Carciofi alla giudia, dalla doppia frittura, che li rende croccanti fuori e teneri all’interno.

Unitamente ai filettini di Baccalà, fatti dorare nell’olio, o alla cosiddetta Pizza ebraica: squisito dolce a base di pasta frolla, frutta secca e canditi, tipico delle Feste. Non troppo dissimile nel sapore, la Piccola Gerusalemme di Pitigliano o, ancora, in Toscana, i caratteristici Sfratti, così chiamati, poiché ricordano, nella forma, le ordinanze con cui gli Ebrei erano spesso costretti a lasciare le proprie abitazioni.
Nella Laguna, i commerci con l’Oriente hanno, senza dubbio, influito. Nell’antico Ghetto si è soliti mangiare Risi e bisi e le Sarde in Saor, marinate con cipolle, uvetta e pinoli, combine sapiente di dolce e salato, che richiama i gusti cari agli Ebrei Sefarditi, originari della Spagna e del Levante.
Per non parlare dell’infinità di polpette di pesce, preparate con merluzzo e altre varietà, persino di acqua dolce, condite con cipolla e spezie. In Sicilia, in concomitanza alle dominazioni araba e normanna, si fanno notare le frittelle di Manna, confezionate con una farina, sorta di dolcificante naturale caratteristico di queste parti, ricavato dalle cortecce del Frassino e che, nell’etimologia, rimanda alle vicende bibliche dell’Esodo.
I biscotti di Pasta di mandorle, a base di mandorle tritate, zucchero, albume d’uovo e tante spezie rappresentano un evergreen.
Un discorso a parte per le Feste…
Poi, ci sono i piatti che vanno a stretto braccio con i momenti pregnanti, dal punto di vista spirituale e culturale, preparati apposta per l’occasione.

Pesach – stando in argomento – la Pasqua ebraica, celebra la liberazione del popolo di Israele dalla schiavitù in Egitto. Ebbene, nel periodo in analisi, gli Ebrei evitano di mangiare pani lievitati (Chametz) e, al loro posto, consumano il Matzo, conosciuto più di frequente come pane Azzimo. Da noi, lo si utilizza, in particolare, nelle zuppe e negli formati; mentre dolce per antonomasia è il Charoset, miscela di frutta secca, miele, vino e spezie, che rappresenta la malta usata dagli Ebrei nei lunghi anni di schiavitù, trascorsi sotto il giogo del Faraone.
Il Rosh Hashanah, a sua volta, segna l’inizio del nuovo anno ed è celebrato con una serie di preparazioni, inno alla speranza e alla prosperità. Non possono mancare, in tavola, mele e miele, elementi benaugurali e lo Challah, un pane intrecciato e dolce, spesso preparato con uvetta. Idem dicasi per lo Tzimmes, fatto con carote, patate dolci e prugne e cotto lentamente, con miele e spezie.

Durante la Festa delle Luci (o Hanukkah), in cui si celebra la riconsacrazione del Tempio di Gerusalemme, domina il fritto, in memoria del miracolo dell’olio che durò otto giorni. Largo, pertanto, alle Latkes, frittelle di patate, servite con panna acida o salsa di mele o ai Sufganiyot, irresistibili bomboloni ripieni di marmellata, cotti in olio e cosparsi di zucchero a velo. Del resto, a pensarci bene, le influenze sono reciproche: l’uso di spezie come la cannella e il pepe in piatti dolci e salati non è altro che un retaggio di abitudini alimentari incorporate.
Commistioni
Financo riguardo alle tecniche di conservazione del pesce c’è da dire. La salatura e l’affumicatura, diventate comuni nella Penisola, hanno contribuito alla creazione di ricette come il Baccalà alla Livornese o, altrove, la Tunnina alla ghiotta e non si contano i dolci, diventati talmente popolari anche al di fuori dalla sede originaria, che hanno arricchito il bagaglio, che appartiene alle nostre tavole.
Un tesoro prezioso, in sintesi, che val sempre la pena di riscoprire e assaporare e che sta a suffragare come ognuno possa offrire il personale contributo nella creazione di una Società multietnica, omnicomprensiva, variegata e sana.
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