Specchio: nostro Signore della vanità…
Dire che conta, oramai, secoli e secoli di anzianità, eppure resta sempre attuale e indispensabile… Accessorio, che esiste dai tempi dei tempi – almeno dal 6.000 a. C. e rimane, ad oggi, un pezzo fondamentale, nella scansione del quotidiano.
Lo specchio – che è di questo che stiamo parlando – nella sua accezione primordiale ci rimanda, probabilmente, alla leggenda di Narciso, intento a riflettersi nella propria immagine, innamorato di quel che l’acqua gli rimandava indietro.

Tuttavia, al di là del Mito, c’è tanto da raccontare…
All’inizio era solo pietra…
Dalle pozze d’acqua si passò, dunque, alla pietra levigata, spesso Ossidiana, un vetro vulcanico presente in Natura, per passare, più in là, allo Skyphos, tipico della Magna Grecia. Non solo, sempre i Greci, per accendere la torcia Olimpica, si servivano dello Skaphia (un tipo di crogiolo), posizionandolo di fronte al Sole. I raggi dell’Astro si concentravano proprio sul punto desiderato e l’erba secca, magicamente, prendeva fuoco. Alla strega, per certi versi, dell’uso che si fa attualmente dello specchio parabolico.
L’antica cerimonia, se ancora non ne siete al corrente, fu inaugurata per la prima volta nel 776 a.C.
Non solo. Probabilmente, nominando Archimede, è facile che vi torni alla memoria il suo escamotage per cavarsela, durante la Seconda guerra Punica. Siamo intorno al 200 a. C. e il nostro seppe fece intelligente uso di due scudi in bronzo lucidati, per concentrare la luce del Sole sulle navi romane che avanzavano. Certo, si tratta, ancora una volta, solo di una leggenda ma resta pur sempre affascinante e ci fornisce una precisa idea rispetto ambitissimo oggetto.
Non da meno furono gli Egizi, che già 1.500 anni prima dell’arrivo di nostro Signore erano soliti adoperare specchi in bronzo lucidato, rame e argento.
Spostandoci di poco più avanti nel tempo, durante l’Impero Romano, si viene a conoscenza del fatto che erano assiduamente usati, persino dalle domestiche. Si trattava, allora, di manufatti grezzi in vetro soffiato, con supporto di piombo. Del resto, accompagnava e serviva, ai tempi, il supporto, la vanità delle nobildonne.
Tra misteri e curiosità
Se si parla di oggetti metallici rivestiti in argento, bisogna guardare verso Oriente. Appena 500 anni d. C. in Cina si potevano repertare, in tal senso, vere opere d’arte. D’altronde, poco distante, in Giappone, gli specchi in bronzo erano associati alla dea del Sole, Amaterasu e agli antenati imperiali. Tant’è, capitava sovente che raffigurassero creature mitiche.
Una curiosità? Leonardo da Vinci, esperto in biologia, anatomia, fisiologia, idrodinamica, meccanica, aeronautica… prendeva appunti sui suoi taccuini, in maniera del tutto inedita. Erano redatti, difatti, i testi, in modo tale da potersi leggere, solo se riflessi.
Ancora, nel Medioevo, i progressi nella tecnologia della soffiatura del vetro condussero i membri delle corporazioni verso enormi migliorie e, addirittura, nel periodo Rinascimentale, la scoperta degli specchi convessi ne aumentò la popolarità, al punto tale da renderli accessibili ad un pubblico eterogeneo.
Esiste un personaggio immaginario nella mitologia germanica, tale Till Eulenspiegel. Ebbene, lo si incontra spesso, nelle iconografie, con indosso un abito da giullare, preso a fissare uno specchio con un gufo appollaiato sulla spalla. Figura conosciuta anche nei Paesi Bassi, in Boemia e in Italia, pare che si aggirasse per il Sacro Romano Impero, nella volontà di burlarsi dei contemporanei e denunciarne i vizi.
La bellezza riflessa fa vanto di sé, anche attraverso l’arte. La Donna allo specchio del veneziano Tiziano, risalente al 1515 e raffigura una fanciulla che si pettina, con l’aiuto di due specchi tenuti da un uomo.
Pittura… ma non da meno è la scienza. Il matematico inglese Isaac Newton costruì il primo telescopio riflettente al mondo, nel 1668. Lo strumento era dotato di uno speculum – appunto – in metallo lucido, capace di ingrandire quel che ritraeva, di ben 25 unità.
Un nome che deriva da lontano…
Dunque, che di miroir si tratti – derivato dal latino mirari (ammirare), o da speculum” (specere – guardare, o vedere), fatto sta, la sostanza non cambia. Nel 1665, la Compagnie de Saint-Gobain dovette ampliare notevolmente la produzione di specchi, divenuti popolari tra le classi abbienti, poiché gli elementi in questione non mancavano di decorare utensili di ogni genere: armadi, tavolini, etc. etc. etc.
Nel 1678, proprio Saint-Gobain fornì il vetro per la Sala degli Specchi di Versailles. 17 archi rivestiti, in tutto, che comprendono 357 elementi e riflettono 17 finestre ad arco contrapposte, sono ampiamente riconosciuti come una tra le più belle realizzazioni dell’arte classica francese, nel XVIII secolo.
Thomas Chippendale, tra i più rinomati produttori di mobili in Inghilterra, sviluppò uno stile di specchiera iconico, riconoscibile per via dell’intricato design, caratterizzato da orecchie e piccole volute, rifinite in legno dorato.
Parimenti, l’architetto scozzese e designer di interni Robert Adam si fece conoscere, per le sue creazioni, fino in Nord America. E’, invece, al tedesco Justus von Liebig che si deve l’invenzione dello specchio in vetro argentato. Procedimento, quello in questione, studiatamente adattato per la produzione di massa.
Se, poi, in molti, tra cui anche il designer Thomas Sheraton (1751-1806) promossero la divulgazione dello specchio convesso, l’ingegnoso sistema di atterraggio a specchio, per gli aerei che si avvicinano alle portaerei, noto come Sistema di atterraggio Ottico (OLS), si dimostrò ottimo, per mantenere la corretta traiettoria di planata.
Architrave delle fiabe… e della ricerca scientifica
Fu la volta, intorno agli anni ’50, degli specchi che riproducevano un’immagine distorta; finché Lewis Carroll, nel 1800, non reputò giusto conferire una dimensione fiabesca al fantomatico oggetto, mettendolo a servizio della Piccola Alice e del suo viaggio nel Paese delle Meraviglie.
Di fiaba in fiaba, in una celebre scena di Biancaneve (1937), la regina cattiva chiede audacemente al suo specchio: “Specchio, specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?”. Alla stessa stregua, nei primi del ‘900, l’attrice americana Carole Lombard (1908-1942) sembrava porre la medesima domanda al suo feticcio.
Specchi, intesi persino come scenografia, come ne I 3 dell’operazione drago, dove Bruce Lee riesce a sconfiggere il nemico, proprio attraverso l’intuizione di un meccanismo riflettente.
Verner Panton, a sua volta, face largo uso degli specchi, utilizzandoli per ottenere effetti fantasiosi e, alla stessa stregua, l’indiano Anish Kapoor, specializzato in installazioni e arte concettuale. La sua Cloud Gate nel Millennium Park di Chicago riesce perfettamente in questo intento.
Più in generale, gli specchi ci aiutano ad esplorare le profondità del Cosmo. Non a caso, il telescopio spaziale Hubble, si serve di un vetro a bassissima espansione e di una sottile pellicola in alluminio, per riflettere uno spettro di radiazioni dall’ultravioletto al vicino infrarosso. Da lì, la trasmette ad uno specchio più piccolo dietro di sé e torna all’esterno, attraverso un foro nella lente primaria, dove il fascio confinante brilla, infine, sulla strumentazione scientifica, rivelando le meraviglie dell’Universo.
Un gioco di espedienti, per un obiettivo grandioso e lo specchio lì, a rammentare quanto possa essere potente la scienza umana e quanto, altrettanto plateale e irrisolvibile, rimanga il nostro spirito pavoneggiante. Facce entrambi di un unica medaglia.
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