Ciao Paolo: il tuo ‘era’ solamente amore…
“Ti ricordi quella strada
Eravamo io e te
E la gente che correva
E gridava insieme a noi
Tutto quel che voglio, pensavo
È solamente amore
Ed unità per noi
Che meritiamo un’altra vita
Più giusta e libera, se vuoi
Corri amore
Corri non avere paura…“
Vero. Le parole appartengono ad un più lontano 1978, ma l’atmosfera rimane la stessa di quel 1982, che ci ha fatto a dir poco sognare. Gridare, con il cuore in gola, esultanti, felici, ed abbracciarci. Festeggiare, liberi.
Sì, allora lo eravamo, mentre un ragazzo prodigio pareva, Lui e tutta la sua squadra, in preda ad uno splendido incantesimo. Il calciatore dal piede d’oro, che ogni volta che toccava un pallone segnava un goal, ci ha distintamente resi euforici, fieri, ingordi di vita.
Il più comune dei nomi indosso, che di Signor Rossi è pieno il mondo. Eppure ha saputo distinguersi, Paolo, supportato da compagni di squadra il cui più gran talento era, sì, proprio quello da avere talento. Ma sotto si nascondeva, neppure troppo, un territorio fertile di verace umanità. E cuore. Immenso cuore, che solo poteva meritare quella Coppa da Campioni che tutti vedevamo, partita dopo partita, ogni giorno più vicina.
Il calciatore dal timbro gentile – l’altra faccia dello sfrontato ed irriverente Maradona – ci ha salutati, così. No, non è Covid, per fortuna, che solo a sentirlo nominare non se ne può più. A portarcelo via, all’età di 64 anni, una malattia che lo affliggeva da tempo.
I suoi tre goal al Brasile, sotto la guida attenta di Enzo Bearzot, e chi se li scorda più. Insieme all’applauso di un orgoglioso e sempre giovane Presidente Pertini, alla faccia dell’età. A noi sono valsi un intero Campionato, al ‘nostro’, il titolo di ‘eroe’ di un Mondiale indimenticabile.
“Ero andato lì con la mentalità del turista e mi sono ritrovato a giocare in uno stadio di 35.000 persone, con tutti gli occhi puntati addosso“, raccontava tempo fa.
Potremmo osannarne le gesta. Pallone d’oro, sempre nell’82. Nella lista FIFA dei 100 più grandi giocatori viventi, nel 2004. Sorta di mito in carne ed ossa. Ma Pablito ha saputo dimostrare di essere molto di più. Si è rivelato per quel che era. Un Capocannoniere che, prima ancora che nella porta di un campo da calcio, sapeva far breccia nell’animo della gente.
Ci ha saputi stregare, il militante della Juve, facendoci digerire – in quel suo tempo – persino il piglio sempre un po’ arcigno della Vecchia Signora… Perfetto, senza esserlo, Paolo.
L’uomo dei record che, anche in maglia bianco-nera ha saputo infilare, uno via l’altro, due scudetti, una Coppa Italia, una Coppa delle Coppe, una Super-coppa Uefa e, dulcis in fundo, la Coppa dei Campioni 1984-1985.
L’attaccante ideale ci lascia così. Se ne va e, forse, meglio. Che spazio può esserci per un Campione che la vita l’ha celebrata, con delicatezza, in ogni occasione, perfino quando, all’inizio di una carriera sfolgorante, ha dovuto riabilitarsi dall’accusa di aver truccato la partita, allora militante nel Perugia, contro l’Avellino? Una squalifica durata due anni.
Ma vincenti si nasce. Questione di destino, di testa…
Il calcio italiano oggi è in lutto, bandiere a mezz’asta: decisione operata dalla Figc. La moglie Federica Cappelletti, la seconda, sui social lo saluta così, con un “per sempre“.
Noi preferiamo dirti ciao, caro amico, con le parole, ancora una volta, defraudate alla produzione di un ispirato Venditti che, nell’86, ti cantava proprio così: “Eravamo trentaquattro, adesso non ci siamo più, e seduto in questo banco ci sei tu. Era l’anno dei Mondiali, quelli dell’86, Paolo Rossi era un ragazzo come noi“…
LEGGI ANCHE: L’uomo che fermò il Coronavirus
LEGGI ANCHE: Dio abbia pietà del Re!
Commento all'articolo