Quel fattaccio in Piazza Santa Maria Beltrade…
Siamo in 6. Sei ragazze. Sei testimoni involontarie di quanto è accaduto alla nostra vita. Vi domanderete: “Come possibile?“. Come è potuto accadere, se eravate presenti a voi stesse? E, mentre chiedete, non vi rendete conto che è in già insito, nel gesto, il processo.
Siamo nell’aula giusta, ma sedute nel posto sbagliato.
Oh, nulla che ci stupisca. E’ ciò che sappiamo fare maglio. Metterci nei guai. Perché non ci hanno insegnato abbastanza come proteggerci. Perché siamo fragili e condizionabili. Perché guardiamo ma non vediamo… la percezione del pericolo ci scivola addosso come acqua piovana e quando poi tutto accade, amaramente, non ci resta che constatare quanto siamo state sciocche. Come avremmo potuto salvarci, con poco. E non lo abbiamo fatto.
Come vedete, voi che siete in ascolto, il processo è già in atto e non c’è giudice più feroce di quello che ci abita. Le chiacchiere, in aggiunta, non ci servono, che il peggio è già avvenuto. O forse no.
Lui è lì, con nemmeno la forza di altare la testa. Di renderci la dignità che ci ha tolto mentre, fuori di sé, ci abusava e ci abusava e ci abusava…
Ci dicono: “Ve la siete cercata…” e ce lo ripetono talmente convinti che, alla fine, quasi ci crediamo. E’ più facile attendere all’assoluzione del nostro aguzzino, se si pensa che in fondo, le vere colpevoli, siamo noi. Mantidi religiose che, prima seduciamo il maschio della nostra specie, per poi condannarlo al patibolo. Mantidi, travestite da bambine… Sì, perché noi siamo bambine. I diciotto anni li abbiamo passati da poco e, nonostante la sfacciataggine, tolto il velo d’apparenza, della vita non sappiamo ancora nulla. O, almeno, fino a poco tempo fa, era così. L’ingenuità, o quel che ne rimaneva, ce l’hanno strappata in una notte che ha finito per protrarsi talmente a lungo da rendersi infinita. Olocausto di un buio che pare essersi affezionato al cuore e non lo molla, neppure un istante.
Siamo sei, con racconti, alle spalle, differenti. Provenienze diverse. Caratteri… ma che importa. Lui ci ha reso sorelle, vincolate da una storia unica. Lui ha fatto di noi una cosa sola, una sola carne – perché niente altro siamo state ai suoi occhi – da massacrare a piacimento. Da consumare, senza lasciarci neppure spegnere, finché la fame – la sua – non fosse completamente placata; fin quando non avesse trovato sazietà.
Victim blaming: gli esperti lo definiscono così il procedimento attraverso il quale si tende a giustificare l’ipotetico carnefice, per far comparire la colpa sulla pelle di chi ha subito il danno. Ecco, a noi quella pelle è stata tolta, strappata come una coperta. Rimane la massa muscolare, il sangue, che a tratti scorre. Lui, che non si ferma financo quando vorremmo…
Non ci ha concesso niente mentre ci stuprava. Non ci ha regalato neanche il tempo per supplicarlo, per chiedergli di fermarsi. Perché, in fondo, noi siamo quelle che bevono alcolici, tornano a casa tardi, flirtano, vivono la sessualità senza tabù. Criminali, in che altro modo definirci? Armate della faccia tosta – dopo, ma solo dopo – di tornare indietro ad accusare chi ha risposto al nostro richiamo. Sirene…
Sesso. Oh quante perverse dinamiche nasconde dietro, specie quando il suo senso si mischia con quello che attraversa il potere. E noi, escort da quattro soldi anche quando non lo siamo, anche quando ci indicano – i più caritatevoli – come ‘Normali’. Ma ditemi, diteci… cosa c’è di normale in questo mondo? Non è completamente assurdo girare la testa e far finta di nulla? Non è altrettanto feroce che commettere un misfatto? Non è esso stesso misfatto?
Siamo sei e parlo per tutte. Anche per quelle che non ci hanno messo la faccia. Che non hanno trovato il coraggio, la forza. Le puttane, un tempo venivano marchiate. Adesso quel marchio è trasparente, ma esiste ancora. Ed è pericoloso, insidioso, subdolo.
Per capire, asserite, avete bisogno di conoscere e allora lì, a scandagliare, minuto dopo minuto le nostre vite, e poi i fatti di una notte. Ma che vi importa? Siete avidi di morbosa curiosità. In fondo vi solletica l’idea che a voi non sia successo, che non possa accadere. Vi rimette in pace con la coscienza. Al sicuro, immaginate. Se non vi va di confessarlo, almeno, in cuor vostro, prendetene atto. Siete crudeli, esattamente come lo è stato Lui. Anzi di più, perché voi siete lucidi. Perché l’opportunità per riflettere, voi, ce l’avete. Allora mettetela quella mano sul cuore, se ancora ne possedete uno. E zittitevi ad ascoltare ciò che vi racconta.
Siamo le vostre figlie, le vostre amiche più care. Siamo ragazzine chiuse in un corpo che sta fiorendo. Non vi rassegnate, ve ne prego, io, a nome di tutte. Non lasciateci spegnere, ora. Rappresentiamo il vostro futuro. E’ davvero così che lo volete? Inarrestabilmente buio, pozzo senza fondo di un dolore che non passerà più?
Me e le altre 5 – Ve ne do atto – siamo state ripugnanti. Per imprudenza. Scelleratezza di un modo di agire che fa parte della nostra età. E no, non sto cercando alibi. Non vi rendete conto che, ormai, per noi, ogni parola è superflua? Pensate… pensate ciò che vi pare ma pensate.
Non siamo morte. Avremmo potuto. Ma non lo siamo. Siamo, invece, qui a raccontare, fin tanto che non lo faccia Lui. Fate in modo che, almeno, il nostro narrare, a questo serva. Non rimanete pietrificati. Siamo la vostra eredità! Non regalateci altro vuoto, che nel nostro, ahimè, stiamo già affondando.
(Alle vittime di Alberto Genovese – alle donne oggetto di ogni violenza che un uomo, qualsiasi uomo, si permette loro di fare)
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