Ma quante bufale mi vuoi raccontare?
Quella che stiamo per raccontarvi è una storia di famiglia… nel senso che, ad Altamura, le bufale non c’erano, tradizionalmente privilegio del foggiano. Eppure… eppure c’è chi, grazie all’intuizione derivata dal proprio operare, ad un certo punto ha deciso di rischiare. Dunque, gli Squicciarini, già dediti alla pastorizia, hanno ‘chiuso’ con le pecore, per gettarsi in una nuova avventura. 160 capi, all’inizio, ad interpretare il lavoro della Masseria, che oggi sono diventati 800 e che hanno trasformato l’attività in un’Azienda agricola a circuito chiuso. Si produce dal foraggio alle trecce di formaggio, lavorate nel più recente caseificio. Oggi, Bufala Dolcenera si è resa un prodotto tipico. Racconta di come cambiano le abitudini a tavola, fra tradizione e innovazione e celebra, con orgoglio, la Terra e le sue espressioni.
“Da bambini andavamo a pascolare le pecore con papà e giocavamo nei pascoli. Abbiamo sempre lavorato in azienda. Poi, ognuno di noi ha preso una strada diversa“, racconta Vito, 32 anni. E’ il più grande dei tre fratelli. Alle spalle, figuratevi, studi da Interior design: “Io mi occupo della comunicazione e del marketing. Mio fratello Nicola (30 anni) è agronomo e casaro e Stefano, il più piccolo (28 anni) è veterinario“.
New generation, a salvaguardia di un fare antico…
“La nostra mozzarella, qui, è per tradizione vaccina. Ad Altamura, da 10 kg a settimana di mozzarella di bufala, ora se ne vendono 10 kg al giorno. Abbiamo cambiato le abitudini dei nostri concittadini. Ora, qui, è diventata una droga e vengono da qualsiasi paese vicino a comprarla“.
Una vera e propria ‘invasione’. E pensare che, come le bufale siano arrivate in Italia, è ancora – in parte – un mistero. C’è chi si fa convinto assertore del fatto che allevamenti esistessero già ai tempi dei Greci e dei Romani. Alcune fonti ne fanno risalire l’introduzione all’epoca del Longobardi, o grazie agli Arabi, in Sicilia. I Normanni ne diffusero la coltura e, dal 2000, la razza di Bufalo Mediterraneo Italiano è riconosciuta ufficialmente.
Dunque, un esempio virtuoso di imprenditoria, che agisce silenzioso, quasi in disparte. Il caseificio, per intenderci, si trova “in una zona sperduta“, posta tra colline e ruscelli, in cui gli animali vivono, curati secondo gli standard più alti. “Abbiamo elementi anche di 14 anni: questo significa che stanno bene. Le stalle sono dotate di ventilatori automatici, spruzzini d’acqua, spazi ampissimi per muoversi e, fuori, ettari per le giovani bufale“.
Razze iper-selezionate e fasi della filiera gestite in proprio, dalla produzione dei foraggi alla vendita, sono, poi, a supporto della garanzia di successo. “Se sei sempre trasparente, se sei sincero, se non hai da nascondere nulla, arrivi anche sulla Luna“. Questa è la filosofia dei ‘nostri’.
Già, ma come raggiungere l’eccellenza? “Mio fratello ha studiato la ricetta per dieci anni. In Italia ci sono sono due stili: il casertano e il salernitano, una più fibrosa e l’altra più morbida. È una questione di gusti. Noi abbiamo la nostra ricetta“. 100% latte di bufala, senza miscele e con la lavorazione a siero innesto. La pasta viene maneggiata, in sintesi, in modo naturale: “Aspettiamo tutte le ore necessarie al caglio per svilupparsi. Non certo 20 minuti, come nelle lavorazioni industriali“. Il latte, non pastorizzato, viene trattato crudo, a solo 60°C, fino alla fase della filatura che, di per sé, prevede un trattamento termico, a 98°C. Ne scaturisce una mozzarella igienicamente sicura ma che, ancora, si porta appresso il sapore genuino della campagna. E pure la filatura viene fatta a mano, si tratti di trecce o grandi formati.
Oltre alla mozzarella, si produce yogurt, burro, scamorze, primo sale, stracciatella, ricotta… “Il nostro punto di forza è che la facciamo come una crema“, garantisce il trio. E i riconoscimenti, del resto, parlano da soli, a stretto braccio con il desiderio di sperimentare e di innovare.
E’ a tal proposito che sono nate, nell’ordine, Bufadelfia da spalmare, il burro fatto a mano, dessert e persino la mortadella di bufala. “Durante il lockdown abbiamo collaborato con un nostro amico chef di una vicina sala da ricevimenti. Si è inventato un nuovo prodotto: il pan bauletto. Burro di bufala fatto a mano, lievitazione naturale, farina di grano duro, mandorle pugliesi… Un “buondì” di mezzo chilo, che continua ad andare sold out“.
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