Lettera ad un caro Amico…

Lettera ad un caro Amico…

Buffo,

ho notato che, da quando ti conosco, scriverti è, forse, la cosa che mi riesce meglio. Quella che mi viene più naturale, al pari di volerti bene.

Ecco, so che grazie, in questi pochi giorni, te l’ho ripetuto all’infinito. Ti ho snervato, forse, ma che vuoi farci…

Il punto, affinché tu comprenda, Amico caro, è che ho trascorso gli ultimi anni tenendomi lontana da tutto. E da tutti. La vita non è cattiva, di per sè, ma sa tirare butti scherzi. Così, capita che, per difenderti dal dolore, inizi a scivolare lontana; persino, talvolta, al di là delle tua stessa volontà.

Intendo dire che, tuo malgrado, non lasci avvicinare nessuno e non importa se si tratti di persone giuste o sbagliate. Il muro è già così alto che, sotto un’apparenza formalmente cordiale, ti guardi dentro e vedi il vuoto. E’ quello che hai doviziosamente coltivato ogni giorno, per paura di fare loro male. Per il timore, magari, di condurli in quel posto dove sei tu e che sei certa non riuscirebbe a piacere a nessuno…

Ebbene, quel che vale per il resto del mondo, purtroppo o per fortuna, perde di senso se si tratta di te. Non chiedermi perché, dal momento che una risposta non ce l’ho. So, però, che se sei Tu ad avvicinarti tutto, in me, perde di senso. Tutto quel che è razionale, intendo.

La sensazione, per spiegarti, è duplice. E’ come perdersi, precipando nel vuoto e, in contemporanea, sentirsi completamente liberi, ferocemente vivi…

Non sai quante volte mi hanno preventivato, o diagnosticato – adopera tu il termine che preferisci – pochi giorni, pochi mesi ancora. Puntualmente, mi andavo a ricavare possibilità altre. Pianificavo motivazioni. Inventavo nuovi scopi di resilienza. L’ho fatto, in questa stramba esistenza, all’inverosimile. E l’ho rifatto… e rifatto…

Ti confesso, ora, di essere un po’ stanca. Oh, non la mente. Quella rimane sempre vigile, ma il corpo… il corpo si fa pesante. Ha imparato a ricavarsi strade proprie. Mi ha seguita, negli anni. Ha lottato, ha dato, finora – devo ammetterlo – tutto quel che ha potuto. E adesso, poverino, ho il sentore che sia sfinito.

Ecco, traduco. Avevo gettato la spugna. Mettiamola così. Rinchiusa in una sorta di bolla capace di proteggere me, sì, ma soprattutto gli altri. Già, ma Tu non sei gli altri. Tu mi guardi e ti basta un istante per riappropriarti di quel che sembra ti spetti di diritto.

Fai razzia di me e lo fai con una grazia e una classe che non si può non riconoscerti. Ed Io, esteta quel tanto che basta, rimango disarmata di fronte ai tuoi modi e smetto di chiedermi, finalmente. Di andare ad indagare risposte che, magari, neppure troverò. Il punto è che quelle più importanti mi abitano dentro ormai da parecchio. E, in fondo, per aprirti la porta, direi che possono bastare.

C’è gente che, le medesime certezze, ci impiega tutta una vita per trovarle e, spesso, neppure arrivano. A me è capitato diversamente. Sono stata fortunata. E’ bastato un pomeriggio qualsiasi di un mese qualunque… e il tuo sorriso. Ed è quello che ho custodito. Che custodisco, financo ora. Senza drammi, senza scalpitare. Senza pretendere, che gli esseri umani sono liberi e tali vanno rispettati.

Mettiamola così e arrivo al dunque. Sei il quadro più bello che abbia mai osservato.

Se ripercorro con l’immaginazione ogni angolo di te, trovo sfaccettature sempre nuove e inaspettate. Rappresenti, ai miei occhi, una sorpresa continua e un motivo, pure, di orgoglio profondo. Una fonte di cultura inesauribile e mi trovi ammirata di fronte alla tua ironia, perennemente azzeccata e pungente.

Banalità: non sai dove stia di casa…

C’è questo e tanto altro. Ma tutto il resto, lo sto sperimentando da così poco che quasi non mi pare vero di averlo giustamente intuito, diverso tempo fa.

Non ho rimpianti, se non l’unico di non essermi aperta, forse, abbastanza. Di non aver urlato a chiare lettere quel che mi albergava nell’intimo. Convinta, scioccamente, che mai avrebbe potuto essere così anche per te. Che vuoi farci… umane debolezze… scivolate del cuore che, talvolta, si traduce così fragile e bambino..

Amico mio, ora è diverso. Io non sono qui a pretendere nulla, che nulla mi spetta. Posso, però, in questa peregrina occasione, dare. E dare tutto quel che posso. E’ il bello di quando non si ha più nulla da perdere, no?

Perciò, accarezzarti rientra tra le mie massime aspirazioni. Viziarti, ascoltarti, commuovermi e ridere con te… non staccarti gli occhi di dosso, quando ci si trova insieme e lasciarmi consumare, abbandonata e docile. Questo rientra nei miei piani.

Definiscilo Tu come credi, anche se so già che non avrai necessità di dargli un nome.

Sono stata amata smisuratamente, nei miei numerosi o pochi giorni. E, per quanto possa aver sofferto, la felicità è stata, da questo punto di vista, di gran lunga superiore. Ma quel che, chissà se inconsapevolmente, mi hai donato proprio Tu travalica il resto, evidentemente.

Mi hai plasmata, rivoluzionata, per certi versi. Hai fatto sì che imparassi a brillare, che il Mondo si girasse a curiosare su cosa fosse quella Luce. Ed ero Io. Io, lavorata da Te. Tu che, in fondo, mi hai toccata così poco e mai quanto avrei desiderato…

Ebbene, dolce Amico, il mio desiderio di Te è ancora lì, intatto, dopo tempo immemorabile. Ti guardo, ancora adesso, come se fosse la prima volta che ti ho di fronte.

Ho gli occhi puri. Me lo dicono spesso e comincio a pensare che sia vero. Beh, se così è, allora sappi che la dolcezza che mi attraversa le iridi è riservata a te, che sei protagonista di questo cuore sgangherato, da un tempo infinito…

Ora vado. E’ ora e mi spiccio, perché non sopporto gli addii, né gli arrivederci. Non sono in diritto di chiedertelo, me ne rendo conto. Ma ti confesso che, fossi nella facoltà di potermelo permettere, esprimerei un unico desiderio e sarebbe quello di ritrovarti, al mio ritorno, ancora qui. Esattamente come sei ora. Con lo stesso cuore limpido, lo stesso timbro nella voce, la medesima delicatezza nel toccarmi…

Che non ti ho Mai visto come ti vedo adesso e quest’Aura che ti porti appresso la emani, al punto tale da rischiarare anche me. Resto ancora un po’ qui, accoccolata, se non ti disturbo. Che se mi addormento al riparo, compresa nel tutto abbraccio, tutto sembra più semplice…

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