E mo’… facce ride
Parliamo di comicità. Che, differentemente da quanto si possa supporre, è l’esercizio più difficile che ci sia al mondo. Non siete convinti? Certo. Esiste quella involontaria e rappresenta la risposta più genuina alla risata. Ma, se lo domandate ad un attore, ad uno, cioè, che intende far ridere per mestiere, vi risponderebbe che c’è… da farsi diventare i capelli grigi.
Eh già, poiché si tratta, soprattutto, di una questione di ritmo. La regola prima è abdicare al politically correct, per proporre, invece, a chi guarda e ascolta, l’inaspettato.
Ci avete mai riflettuto? Perché i bambini riescono a strappare sempre una risata? Ma perché, carissimi, i piccoli, per natura, sono cattivi. Spietatamente sinceri, incuranti delle conseguenze, nel dire ciò che pensano. Perciò, sono funzionali. Efficaci. I migliori.
In gergo – va detto – il meccanismo che suscita la risata, lo conosciamo come Rottura Comica. E il tempo entro il quale si dilata viene definito, per l’appunto, Dilatazione Comica. Quanto dura? E chi lo sa? Tutto dipende dal talento, dalla maestria, dal genio di chi ne è portatore. Insomma, almeno quest’ultimo non fa parte della tecnica. Il TEMPO, in sostanza, non lo si può insegnare. Un po’ come il groove, nasce dall’istinto e, o lo si possiede, oppure è meglio rimanersene a casa.
D’altro canto, sempre in fatto di Rottura comica, ne esiste una fisica – pensate al tizio che scivola su una buccia di banana – ed una strettamente verbale o di linguaggio. Ad es. sbagliare i verbi; sostituire le parole; utilizzare nomi buffi, magari abbinandoli, in pieno contrasto, con una carica importante…
Escamotage, questi, arcinoti e sempre immancabilmente validi. Tutto sta, pure, nel saper rigirare la realtà. Nel creare una Comicità di situazione, in cui un personaggio sia, per assurdo e con tutta evidenza, collocato nel posto sbagliato.
Avete presente Benedetta follia di Carlo Verdone? La scena in cui il ‘nostro’ perde il telefonino proprio… nel posto più bello del mondo…(Benedetta Follia ᴴᴰ-Il Telefono nella…)?
Ebbene, è tutta una questione di inadeguatezza. Guglielmo – Carlo – agisce costantemente al limite della realtà. Ma non ha bisogno di fingere. E’, semplicemente, se stesso. E, per questo, funziona.
E, così, è spiegato il fatto che ci siano comici, dalle facce di gomma e pronti alla battuta e ci siano, poi, quanti ‘funzionano’ nel girato di un film. Un esempio su tutti? Checco Zalone, capace di miscelare i diversi moduli comunicativi, non esaurendo, lungo l’intero arco delle riprese, l’intento all’ilarità. Si cuce addosso – per dirla tutta – come un sarto, la sua Satira di costume e si fa affabulatore di un racconto che vuole rimanere, fino all’ultimo, seducente.
E se, del resto, si è già parlato, nel luogo del sorriso e sulla spoglie dell’avanspettacolo, di doppio senso, il Misunderstanding, si aggira anch’esso, come magica formula, tra un anello e l’altro delle riprese. E, poi, le coppie: Spalla-comico; duo-comico; Clown bianco-Augusto.
Pensate a Totò e Peppino o, più attuali, Pio e Amedeo… da dire, al riguardo, ce ne sarebbe tantissimo. Ma vi lasciamo, a fronte delle innumerevoli riflessioni, piuttosto, armati di una certezza, che riguarda l’uso della parola. Scurrili, vale a dire, lo si diventa quando, da sola, la battuta, non basta. Ecco, allora quel che, in genere, agisce da rafforzativo diventa, come direbbero gli Inglesi, too much e il rischio di cadere nella volgarità si apposta, proprio dietro l’angolo…
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