Fammi un complimento, solo un complimento…
Pensare che un tempo, a dettarci la strada, era una riflessione di Coco Chanel. La celebre stilista asseriva che non si è mai troppo ricche, né troppo magre e, seppur l’affermazione fosse sugellata, secondo sua abitudine, da un discreto carico di ironia, riportava una verità, insita nel cuore della maggior parte della donne. Non disdegnata neppure dagli uomini.
Più tardi, nel 1988, regia di John Waters, usciva nelle sale cinematografiche ‘Grasso è bello‘. Commedia musicale incentrata sulla lotta ai pregiudizi. Tutti i pregiudizi, quelli inerenti alle ‘forme’ e quelli più strettamente legati alle discriminazioni razziali.
Oggi, la società targata Generazione Z ci vuole inclusivi. Ribadisce l’accettazione del tutto e di tutti… almeno a parole. Di fatto, il modello ripetutamente proposto – e neppure troppo sotto banco – aderisce a ‘taglie’ preordinate. Facciamo, in sintesi, i conti con un costrutto di noi preorganizzato. Ci muoviamo in binari non scelti personalmente. Lo facciamo, per non sentirci diversi e mascheriamo gli atteggiamenti, sotto la formula nebulosa dello ‘star bene’.
Certo, è sano aiutarsi a prevenire determinate patologie, dannose per il nostro organismo. Meno salutare è attaccarsi unghie e denti ad una proposizione di noi, spesso irraggiungibile.
Un corpo è paragonabile al racconto di una serie di esperienze, in cui ogni componente è unica. Parla di qualcosa che non può e non deve venire banalizzato. E fin qui, probabilmente, tutti d’accordo.
Oggi, però, fior di esperti ci ammoniscono, facendoci notare come anche un semplice ‘sei dimagrito‘, possa risultare fuorviante e deleterio. Ci dicono che complimenti di questo genere hanno un sapore ‘triggerante’ e sono atti a foraggiare comportamenti patologici. Altresì, perpetuano una visione miope e settoriale del concetto di benessere.
In ultimo, ci raccontano di un atteggiamento superficiale nel giudicare il prossimo. Di un mancato approfondimento. Di un’occasione perduta in cui, semplicemente, avremmo potuto chiedere: “Come stai?“.
Sarà. Tutto vero. Tuttavia, un sospetto sovviene e ronza lì nella nostra testa.
Così, presi e compresi nell’altro/a, continuiamo a domandarci come mai, prima, fosse tutto più semplice. Non si parlava, come nei tempi moderni, di body shaming, né si faceva riferimento a pari diritti e/o opportunità. E non perché non se ne percepisse l’urgenza. Diversamente, però, ci nutrivamo del senso del rispetto. Esistevano il pudore, l’amor proprio, la compassione (ndr. cum – patior) e, nella banalità delle situazioni, agivamo di cuore, senza pensarci troppo su.
Si fischiava, al passaggio di due belle gambe, senza che gridasse all’oltraggio. Si regalavano mazzi di rose. Ci si telefonava dalla cabina, anche solo per dirsi: ‘Ti amo!‘. Insomma, eravamo più semplici, più veri e diretti e sembravamo anche più felici. Meno contorti, meno obnubilati e infradiciati da tutta una serie di idiozie che ci ha lobotomizzato il cervello, facendoci abdicare alle regole del buon senso.
Ecco, proprio quest’ultimo, sarebbe il caso di recuperarlo. E, semmai dovessimo riuscire nell’impresa, teniamocelo stretto che, davvero, ne sentiamo tanto tanto il bisogno.
LEGGI ANCHE: Test: quando l’immagine parla per te
LEGGI ANCHE: Sindrome dell’impostore: giochiamo a liberarcene!