‘A buon intenditor…’
Chiamiamola pure deontologia o, più semplicemente, serietà. Quella di una volta. Quella a servizio di un progetto che, poi, ci si dava da fare per realizzare. Quella, stando alla quale si perseguivano i propri obiettivi. Quella secondo cui, chi impartiva tutta una serie di precetti, a seguire, pretendeva e legittimamente e parecchio…
Altri tempi. Che solo a pensarci, oggi, vengono i brividi. Sono riflessioni, queste, che sanno di passato. Anzi, di sorpassato. Quanto è assai più semplice prendere le cose un po’ come vengono… Ad esempio, pagare la retta di un corso a cui si decide di iscriversi e trovarsi a sborsare tutto e subito, per poi accorgersi, giorno dopo giorno, del mare infinito di lacune, pecche, trascuratezza… che si celano – e neppure troppo velatamente – dietro.
L’ingenuità – fate attenzione – non è più peccato veniale. Aver pagato, convinti di poter ricevere un servizio, quanto meno efficiente – oggi come oggi – in certi posti rasenta la follia. Pretendere – per dirne una – che se si telefona per ricevere informazioni o comunicare un disguido o chiedere, semplicemente, aiuto, là dove serva, esista una risposta, un addetto/a immedesimato nel ruolo è – oramai – una chimera.
E poco importa dei sacrifici che ci sono dietro. Poco interessano le ore di viaggio, magari, per recarsi a lezione o le difficoltà dovute alle limitazioni poste dal Covid… perché dovrebbero esser fatti presenti eventuali cambiamenti sulla tabella di marcia? Perché si dovrebbe domandare una sorta di guida, una persona di riferimento a cui appellarsi, qualora occorra?
Che noia tutta questa idea di funzionalità. E’ sorpassata, fuori moda. Non è molto più accattivante non avere idea di quel che possa succedere? Ricevere i libri di testo a gennaio, quando il corso è iniziato nel mese di giugno dell’anno precedente? E non aprirlo mai, per di più, insieme a nessun insegnante? Non è formidabile non essere avvisati riguardo ai cambi di programma; trovarsi in compagnia di Maestri diversi da quelli inizialmente preventivati e – ovviamente – senza alcun tipo di avviso o preavviso; non ricevere – tranne che in rari casi – il materiale di studio, se non riuscendo a procurarselo per vie traverse, da soli?
Qual è la sensazione, arrivati all’ultimo giorno dopo più di un anno, nell’assistere ad una classe composta, inizialmente, da 25/26 persone, decimata a 6/7 elementi? Fisiologico? In parte, sì. Ne conveniamo. C’è chi si allontana per problemi personali. Chi rinuncia, per via di altri impegni e così via. Succede, ma non può rappresentare un andazzo conclamato. Allora, qualche domanda, bisognerebbe porsela.
Aggiungiamo che i torti – se di torti si tratta – o défaillance, non sono da una parte sola. Chi indossa i panni di studente dovrebbe, in cuor suo, impegnarsi. Ma ricordatevi, lo abbiamo premesso. Stiamo parlando di atteggiamenti superati, cose che non si usano più…
Insomma, sarebbe logico, dopo aver sborsato una marea di denaro, darsi da fare, nel perseguire i propri obiettivi. Invece si respira un’aria di noncuranza legittimata. Come un cane che si mangia la coda, i diversi elementi si alimentano a vicenda. Ogni scusa, nel contesto fin qui illustrato, diventa valida per non fare. Non informarsi, non presentarsi puntuali o non presentarsi affatto.
Poco male, quando la cosa si esprime a livello individuale. Biasimevole, ma nulla di più. Il guaio si crea quando, tra tante persone tutte uguali, c’è qualcuno diverso. Qualcuno che, invece, voglia di imparare ce l’ha. Desiderio di ascoltare quanto gli viene detto, di apprendere, di migliorare e perché ciò accada, necessita della collaborazione altrui. Che non c’è e non arriverà, poiché si fa tutti parte dello stesso giretto; quello – cioè – dove, al massimo, ‘mi coltivo l’orticello mio ed è apposto così‘.
Ci riferiamo agli allievi ma anche, in qualche modo, ai docenti. Non abbisogna chissà quale immensa dote di sensibilità o intuito, per accorgersi di come, ognuno, sia indaffarato a difendere il proprio spazietto operativo. Un giardinetto, ritagliato a misura, sorta di confine per non essere invaso ma pure e soprattutto limite, affinché si cresca – tutti – in un ambiente di scambio reciproco.
Un tempo li chiamavano Lab ma, dunque, ‘no… Io di quell’argomento non parlo, perché poi lo farete con… No. Io un’opinione su quella materia non la do… non mi pagano per questo‘. Come se la cultura venisse riposta in una serie di cassetti, per poi venire elargita, a compartimenti stagno. Tutti, in sostanza, tesi a difendersi e a tirare l’acqua al proprio mulino: ‘fuori di qui, però, se volete, potreste frequentare il mio corso e allora…‘
Imbonitori – tanto per cambiare – seduttori… lo fanno, o tentano di farlo – chi meglio chi peggio – secondo i personali metodi. C’è chi ha classe; chi è più maldestro. C’è poi, persino quello che, stravolto – poverino – si addormenta a lezione, mentre spiega. Pazienza…
Poi c’è, secondo il medesimo criterio, la segretaria e la segretaria della segretaria che, ambedue, mettetevi l’anima in pace, non risponderanno al telefono né ai messaggi, poiché ‘hanno tanto da fare…’ Ma il loro lavoro – ci domandiamo, ignoranti, noi – non consiste, per l’appunto, nel tenersi a disposizione degli iscritti?
Poi, parte l’elenco, interminabile, delle informazioni che non arrivano o arrivano sgretolate, frammentarie, a tratti, sorta di puzzle da ricomporre. Poi, peggio ancora, la mancanza – totale – di disciplina. Che alimenta lo scarso interesse; che denota, nella posizione di addetti ai lavori, irrilevante credibilità.
Proseguiamo – e qui potremmo aprire un capitolo lungo ore – con quello che ci piace definire ‘fattore umano‘. Quando si frequenta, nella volontà di imparare, ci si pone, in piena coscienza, in inferiorità, rispetto a chi ci insegna. Subordinazione voluta, scelta, giustificata, ma che non dovrebbe – mai e poi mai – permettere a chi sta dall’altra parte di adottare atteggiamenti umilianti o denigratori nei confronti di colui o colei – lo ricordiamo – che ha pagato, per ricevere un servizio. Niente di più.
Si tratta di rispetto. Che, evidentemente, manca e latita – ci teniamo a ribadirlo – da entrambe le parti. In questa storia non esistono vincitori (eccezion fatta, semmai, per qualche raccomandato/a, che ne sarebbe uscito/a bene comunque). Qui si perde tutti e tutti insieme. Ci rimette chi vorrebbe imparare e non ha le capacità per cavarsela da solo o chi, al contrario, le ha, ma si trova a dover fare i conti con un clima ‘ostile’ al percorso di apprendimento. Ci rimette la scuola o Accademia che sia, la cui nomea, alla lunga, viaggia. Ne risente chi si trova coinvolto, suo malgrado e persino chi, nonostante il mestiere, si tiene arroccato alla sua sediolina e non si accorge che, senza nuovi talenti, il mondo si ferma.
Mattiamola così. Per un anno, o poco più, abbiamo voluto salire sulla giostra e fare un giro. Abbiamo inteso toccare con mano, per una volta, sedendoci dalla parte del fruitore e non da quella di chi fornisce un servizio. Abbiamo osservato – attenti, curiosi – abbiamo sorvolato, alle volte; pazientato, in altri casi. Abbiamo visto quel che c’era da vedere, spesso a malincuore. L’interesse – il nostro, almeno – non era di arrivare di qualche parte, bensì tracciarci un’idea di come stessero, in effetti, le cose.
Ebbene, a chiusura del reportage alziamo le braccia, disarmati, sconsolati. Destabilizzati dalla presa d’atto che, probabilmente, siamo tra i pochi ad aver arricchito il baglio culturale, giacché siamo stati noi, personalmente e con caparbietà, ad insistere.
Avevamo una causa da portare avanti e la missione l’abbiamo compiuta, fino all’ultimo giorno. Da quest’avventura ne usciamo ricchi di considerazioni – purtroppo – amare, che ci riguardano fino ad un certo punto e potremmo fregarcene, farci i fatti nostri; ma non è questa l’indole.
Non sappiamo chiudere gli occhi davanti all’ennesimo professore che ci prova con l’alunna carina; alla tizia, sulla via del tramonto – novella Gloria Swanson – stressata e bisognosa di alimentare il proprio ego; ci sentiamo mortificati di fronte a chi, disturbato, riversa il malessere su chi, dal canto suo, porta con sé l’unico torto di trovarsi nello stesso spazio vitale.
Ci fa tristezza assistere alla scarsa qualità, promesse mai mantenute, parole gettate al vento, quando i soldi, quelli sborsati, erano veri e pretesi nell’immediato. Ci incute malinconia la constatazione che non solo la storia si ripete, prevedibilmente, ma il copione perde, di volta in volta, qualità.
Amaramente, ci rendiamo conto di come sia difficile costruirsi una strada, nell’era 2000. Di come chi è sveglio, già a 13 o 14 anni, sappia rendersi conto di come vanno le cose e manifesti paura, a suo modo, per questo. I talenti non mancano, no. Eppure stupisce la necessità della società di schiacciarli, questi ultimi, in nome di una più morigerata, controllabile, rassicurante mediocrità.
Lui/Lei non sarà mai meglio di me. Non rappresenterà mai un pericolo e, così, neppure una spinta nel mettermi in discussione. Non mi sentirò mai disturbata/o, frustrata/o, infelice… perché in questo Universo piatto nulla emerge, nulla si solleva, nulla scalpita. E quando accade il primo pensiero, bieco ma malauguratamente sincero, è che anche costui o costei, presto, subirà un danno e verrà ridimensionata/o. Rientrerà, che lo voglia o no, nell’aura di silenziosa nebbia che tutti ci pervade e noi, finalmente, potremo tornare ad oziare, pigri e zitti, permeati da un sapore che non c’è, liquidi ma, nuovamente, rassicurati dal nulla che continua ad avvolgerci.
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