Ho fame… d’amore
Si mangia per sopravvivere, per compiacere il palato. Si mangia, spesso, per emotività. Vale a dire che, nel cibo, si ricerca consolazione, compensazione, equilibrio.
FRAGILITA’ EMOTIVA
Ben lontani dal semplice masticare, si attraversano i binari di quella che viene definita fame emotiva. E’, difatti, tramite la valvola dell’alimentazione che i soggetti fragili trovano sfogo. Ansia, depressione, irritabilità si risolvono – o, almeno, di questo ci si illude – abbuffandosi.
Comfort food, a cui si fa appello, come soluzione veloce al personale disagio ma che poi, svanito l’effetto di appagamento, vanno ad alimentare ulteriori sensi di colpa, sentimenti di vergogna, etc. Un circolo vizioso, subdolo e dal quale non è affatto semplice prendere le distanze.
Come fare, allora, a distinguere la fame emotiva da un sano e genuino appetito? Per facilitare, diciamo che quest’ultimo, in genere, si accompagna di una serie di segnali, evidentemente manifesti. Brusio allo stomaco, ad esempio, vertigini, giramenti di testa e così via, a seconda dei casi. Trattasi, poi, di una necessità generalizzata, che compare in maniera graduale e sa attendere il momento per venire soddisfatta.
Diverso è l’impulso, irrefrenabile e urgente, al soddisfacimento delle proprie voglie. Sovente, l’assaggio si trasforma in un atteggiamento vorace, ingordo, che non tiene conto del gusto dell’alimento in sé, né consente la percezione del normale senso di sazietà, una volta compiaciuta la cupidigia.
UNA QUESTIONE DI ORMONI
Tutta colpa, potremmo dire, semplificando al massimo, della psiche. Ed è vero, stress ed emozioni negative interpretano la loro parte. Tuttavia, a scatenare comportamenti compulsivi pare siano, più nel dettaglio, le modalità con cui ciascun individuo fa fronte alle situazioni. Quando si è in preda all’angoscia, quest’ultima viene somatizzata – in pratica – anche a livello fisico. Per conseguenza, l’emozione spiacevole induce al rilascio di ormoni (catecolamine) che non solo inibiscono l’appetito, ma provocano altresì modifiche a livello gastroenterologico, simili a quelle coinvolte nella sazietà.
Non solo. Nei momenti di maggior tensione l’organismo si prepara ad adattarsi alle richieste dell’ambiente. Ecco, allora, che la fame emotiva appare in controtendenza, rispetto a quanto sopra. Agisce, per paradosso, intralciando la domanda adattiva e si fa azione manifesta ed immediata dell’incapacità del soggetto di gestire i vissuti negativi.
Un mezzo, insomma, per arginare lo stato di malessere, potenzialmente generato dall’esterno, piuttosto che frutto della propria interiorità.
COME PORRE RIMEDIO
La domanda successiva è, a questo punto, come uscire dall’impasse? Primo step, occorre partire dalla consapevolezza del disturbo. Adoperarsi, quindi, di una serie di strategie adattive. Mettere in atto, in sintesi, tot accorgimenti, che si traducano in azioni concrete:
- Puntare su modalità alternative per controllare l’angoscia. Utili, a tal proposito, l’attività fisica o le pratiche di rilassamento, come yoga e meditazione
- Tenere un diario alimentare
- Combattere la noia
- Eliminare le tentazioni
- Concentrarsi sui cambiamenti positivi
- Evitare di punirsi
Un surrogato di comportamenti che andrebbero, però, coadiuvati e sostenuti da un percorso psicoterapeutico, che non solo fornirà al paziente gli strumenti per affrontare la problematica ma andrà anche a rintracciare e a portare alla luce le cause profonde della stessa.
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