Hotel Raphael: stanze segrete di una realtà che non merita di morire

Hotel Raphael: stanze segrete di una realtà che non merita di morire

Chi c’era, benchè fosse ragazzino, non può non ricordare. Ecco, allora che, quando si parla dell’edificio, non può non ripresentarsi alla mente la rievocazione della giornata – il 30 aprile 1993 – in cui si decretò – per così dire – la deblacle dell’Impero craxiano. Il ‘Cinghialone‘, come lo schernivano i più acerrimi detrattori, era finito sotterrato da un mare di monetine, lanciate a brutto muso da manifestanti e contestatori, all’ingresso dell’Hotel Raphael.

Da allora, sono trascorsi 27 anni e se, in questi giorni ammutoliti dal Coronavirus, capita di passeggiare di fronte al selciato dello storico albergo, si assiste ad uno scenario ben diverso. A governare, il silenzio. L’ingresso è sbarrato e, perfino se si attivano i motori di ricerca Google, si legge: “temporaneamente chiuso“. Fa specie, per uno di quei luoghi, che hanno scritto la storia della Città Eterna, e non solo.

La nostra clientela è soprattutto americana. Siamo chiusi da marzo, a causa del Covid e riapriremo a settembre, o quantomeno ci speriamo. Dipenderà dall’economia, dal resto…“, spiega Roberto Vannoni, titolare della struttura.

Terrazza del Raphael

Certo, l’impatto con i 45 mq dell’appartamento dell’allora Leader del PSI è inevitabile. L’attico con la famosa terrazza, poi adibita a ristorante, è stato emblematico di un periodo, in cui tutto sembrava possibile. La vetrata che lo protegge – pensate – possiede una blindatura, a prova di arma da fuoco. Era stata ordinata dallo stesso Presidente del Consiglio, nell’estate del 1983, quando, agli esordi del suo insediamento a Palazzo Chigi, si apprestava a prendere in mano le sorti del Paese.

Ma facciamo un passo indietro, perché il Raphael non è ‘solo’ questo.

Nel 1945, Spartaco Vannoni, che avrebbe lasciato l’hotel in eredità al figlio Roberto, era l’assistente di Eugenio Reale, braccio destro – a sua volta – di Palmiro Togliatti. Quando, al termine del conflitto bellico, Reale venne nominato ambasciatore italiano in Polonia, il ‘nostro’ – armi e bagagli – lo seguì. Al ritorno, Vannoni maneggiava un capitale da capogiro, che gli consentì di prendere in affitto il ‘Palazzo’ e riempirlo, letteralmente, di pezzi storici. Non ultimo, un Picasso.

Fu così che si diede il là allo spazio che seppe ospitare Arthur Miller, come Simone de Beauvoir, presenze immancabili, in occasione dei loro viaggi in Italia. Poi, con l’esordio degli anni Settanta, tra le lenzuola delle intramontabili stanze, scelsero di riposare altolocate eminenze del partito Socialista. Da Tonino Caldoro, papà di Stefano, al calabrese Nino Neri, ufficiale di collegamento tra Craxi e Giacomo Mancini.

Ingresso del Raphael

Ed ancora… le note, mai dimenticate, di Aguas de março, di Antonio Carlos Jobim, pare siano nate proprio qui, figlie di un pianoforte e una serata di sbisboccia, insieme a Chico Buarque e Vinícius de Moraes.

L’albergo era il ritrovo delle celebrità brasiliane, che spesso dormivano là, per la vicinanza con la loro ambasciata“, racconta Bobo Craxi.

Il padre lascerà la “camera e cesso più terrazzo” – citiamo testuale – soltanto dopo la fuga ad Hammamet, nel 1994. Per non farvi più ritorno. Tuttavia, un ‘pezzo’ di quella che l’allora Premier considerava ‘casa’, lo porterà con sé, in Tunisia. Trattasi di Marcello Giovanbattista, centralinista-receptionist. Colui, in sostanza, addetto a ‘secretare’ le telefonate, in entrata e in uscita, dell’illustre ospite, destinato a ridisegnarsi come assistente personale, sull’altra sponda del Mediterraneo.

Racconti, questi, che adesso assumono i tratti di figure evanescenti. Fantasmi, che si intravedono dalle vetrate. Eppure la musica continua a suonare: “É o pau, é a pedra, é o fim do caminho…” È legno, è pietra, è la fine della strada…, recita, quasi profetica.

Mentre ci monta un brivido ci auguriamo che – una volta tanto – quel gusto amarognolo di qualcosa che sta per finire venga presto sostituito da un sapore nuovo, intenso… di rinascita. Lo pretende, anzi, lo merita un posto che, come i numerosi che caratterizzano strade e vie della Penisola, non vuole e non va dimenticato. Lo richiede, ancor più, quel senso di nostalgia, legame indissolubile con quanto ci ha preceduti.

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