Ganzirri e quel suo ‘tesoro’ proveniente dal mare

Ganzirri e quel suo ‘tesoro’ proveniente dal mare

Lo abbiamo premesso, Ganzirri vanta una storia antica e variegata, ricca del culto perduto e rinomata, enogastronomicamente parlando, per via delle prelibatezze offerte dal suo mare.

Ebbene, sappiate che qui i prodotti vengono lavorati, secondo i precetti che riguardano l’autoctona rizza, esattamente come si faceva nel ‘700.

Del resto, con la costa calabrese a una manciata di chilometri, Messina può, a tutti gli effetti, considerarsi la porta della Sicilia, bagaglio di usanze dure a lasciarsi schiacciare dal progresso. Così, se sullo stretto si rincorrono le feluche per la caccia al pesce spada, spostandosi qualche chilometro più a nord, verso la riserva lagunare di Capo Peloro, primeggia la tradizione plurisecolare dell’allevamento delle vongole, uguale a sé stessa da quasi tre secoli.

IL PROCESSO DI RIQUALIFICAZIONE DEL TERRITORIO

Palme, oleandri, papiri, eucalipti e pini marittimi, rifugio per uccelli migratori in traversata: qui tutto riporta l’immaginazione ad un passato, neppure troppo lontano, in cui il Lago di Ganzirri, che prima della bonifica del protettorato inglese non era che una sequela di stagni salmastri, subì una serie di modifiche, atte alla bonifica. Vennero aperti i canali per dirottare le acque verso il mare conformando due laghi. Un invito, per la popolazione, a spostarsi sulla costa, fino ad allora insalubre e pericolosa, per via dei corsari.

Il motivo? Ci si rese conto che, nelle acque del Grande, cresceva spontaneamente un mollusco mai visto altrove: l’autoctona vongola rizza, dalle valve bianche leggermente striate, non troppo grande – la cutignina – ma dal frutto arancione, carnoso e dolcissimo.

ORA… COME ALLORA

I nostri bisnonni avevano una concessione dei Borboni. Sono stati loro a creare secche e calate, ammassando pietre e spianando sabbia“, spiega chi lavora da queste parti. “Ogni giorno, il lavoro del cocciularo non è diverso da allora“.

Nemmeno gli strumenti sono cambiati, se non per i materiali, un po’ più resistenti. Abbiamo semplicemente constatato che, in un altro modo, non funziona“.

Si parte, dunque, dalla pulizia delle acque, con la rimozione di alghe e infiorescenze “che levano ossigeno. Le vendiamo all’industria farmaceutica e, intanto, teniamo le acque salubri e piene di plancton. L’obiettivo è far arrivare ai molluschi tanto nutrimento e lasciarli crescere in modo naturale“. Oltre alla manutenzione del fondale – da un metro scarso ai 12, nei punti più profondi – la prima operazione riguarda il setacciamento delle rive, con rastrelli a diverso calibro. E’ questa la maniera per recuperare le vongole fecondate e suddividerle tra le locali rizze “che si trovano a un centimetro e mezzo sotto la sabbia. Poi ci sono le femminiedde, ovvero le telline e, più giù, le grosse cocciule veraci“.

Ripartiti per famiglie, i molluschicoltori le trasferiscono poi nelle secche centrali, dove crescono fino a un anno. Segue la stabulazione, vale a dire un giorno di spurgatura, che avviene nel limitrofo Lago Piccolo, dedicato invece all’allevamento semi industriale delle cozze.

Tra poco potremo chiedere la denominazione di origine“, si preannunciava qualche tempo fa. Oggi l’auspicio si traduce in realtà, essendo stata proclamata la vongola di Ganzirri, finalmente, presidio Slow Food.

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