Affumicatura: nostra Signora del Barbeque
Fumo, tanto fumo e, forse, tanto pregiudizio attorno. Ebbene, al riguardo, è probabilmente tempo di cambiare idea, almeno quando si tratta di cucina. Le più recenti tendenze della gourmandise esaltano, al contrario, quanto si debba ritenere conseguenza naturale degli strepitii.
Fumo, dei resto, ormai da circa vent’anni – per merito, anche, dei fratelli Roca – elemento dell’alta cucina. Agente, peraltro, di stupore, sbalorditivo, inconsueto nell’utilizzo, pronto – magari – a fuoriuscire sotto forma di piccole sfere alla paprika, per ogni affondo del cucchiaio al polpo o alle patate.
Così, allora e, d’altronde, l’uso del fumo nelle preparazioni è quanto di più ancestrale possa esistere. Nonostante la declinazione inedita, pertanto, non si è inventato nulla di nuovo; o forse sì.
Fuoco, la cui cosmogonia è una costante universale: “ci ha liberati dalla tirannia della masticazione“. Fumo, che l’uomo ha iniziato a usare cinquantamila anni or sono, dopo averne percepito le potenzialità preservative. Affumicatura, in sintesi che, insieme alla salatura e all’essiccazione, hanno rappresentato, per millenni, la trimurti della conservazione del cibo. Sorta di miracolo, che l’ambizione umana ha costantemente teso a rendere controllabile, scientifico, intimo.
Processo… ecumenico: può accarezzare la carne succosa dei salmoni, come quella tonica dell’aringa, le fibre del maiale e quelle del manzo, la consistenza carnosa delle ostriche e i malti, che generano quel mirabolante prodigio che sono le rauchbier. In aggiunta alla sua funzione primitiva della conservazione.
A ben pensarci, quando ci accostiamo a un piatto che sprigiona i sentori della combustione del legno, o delle erbe, andiamo a titillare l’insenatura della comfort zone. La fuliggine riesce ad oltrepassare, in qualche modo, il substrato ancestrale, parte del nostro DNA e riattiva il ricordo delle esperienze pregresse. Ci riconduce all’allora, in cui il sapore di affumicato combaciava con quello ‘comune’ del cibo.
Tutt’attorno, il suono e i colori che, anch’essi, ci riconducono all’essenza. Nel momento in cui affumicare ha smesso di essere un’esigenza, per assumere i tratti di scelta estetica, ci siamo accorti – nel contempo – che il fumo trasforma. Modifica la texture del cibo, attraverso la caramellizzazione e attiva – come dire – il sesto senso.
Richiede conoscenza, quindi. A cibi diversi, legni diversi… e tempo. Bene, di cui disponiamo sempre meno.
Nell’esigenza di immediatezza, ecco, allora, la scelta di applicare un processo complementare al tradizionale: affumicatura a freddo, o liquida, o istantanea, che dir si voglia. Consente, di fatto, di mettere la combustione da una parte, il cibo dall’altra. Separati, ma al servizio l’uno dell’altro.
Gli alimenti – in tal maniera – si impregnano più rapidamente, più a fondo, all’istante. Un modus operandi – per di più – alla portata di tutti, sublimato dall’haute cuisine e subito permeato nelle spicciole aspirazioni d’affumicatura casalinga. Ossessione prêt-à-porter che oggi, tuttavia, possiamo avvicinare, grazie all’esplosione di tecnologie di facile utilizzo, immediate, for dummies o quasi, che hanno visto le vendite online impennarsi di percentuali ben oltre il raddoppio, solo negli ultimi cinque anni.
Versione potenziata, rifinita, ottimizzata del primo rudimentale prototipo. Porta d’accesso, ai tempi, per entrare in quella che autenticamente può considerarsi una vera e propria magia.
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