‘William’ dai mille volti…
Shakespeare? Di anni, dalla sua dipartita. ne sono trascorsi oltre 400, eppure ancora, sul suo conto, aleggia il mistero. Ci si domanda quale fosse, in realtà, la sua identità. A noi rimane, del celebre autore di Romeo e Giulietta, lo pseudonimo. Sono state tante, del resto, le ipotesi formulate, negli ultimi quattro secoli, al riguardo: forse una donna; secondo altri, si sarebbe trattato di un ‘talento’ siciliano e non inglese. Congetture, mai suffragate, ma che oggi sembrano giunte ad una svolta.
Più recenti ricerche suggeriscono – difatti – che il fantomatico poeta sia stato un nobile di Oxford. Lo studio, condotto dal professore della Coppin State University di Baltimora (Usa) – tale Roger Stritmatter – e pubblicato sulla rivista accademica Critical Survey, illustra nel dettaglio come, attraverso l’analisi di una serie di manoscritti, la comparazione della scrittura di Shakespeare con quella del Gran Ciambellano d’Inghilterra abbia condotto alle suddette conclusioni.
Dilemma, quello fin qui illustrato, irrisolto – peraltro – e nato dalla penna del teologo Francis Meres. Suo il testo: Palladis Tamia (Wits Treasury), datato 1598, nel quale emergerebbe una sorta di riconoscimento. La paternità, insomma, di Amleto, Re Lear, etc. andrebbe ricondotta ad Edward de Vere, 17esimo conte di Oxford. In un capitolo intitolato “Un discorso comparativo dei nostri poeti inglesi con i poeti greci, latini e italiani“, in particolare, Meres confronterebbe gli scrittori britannici con i classici, citando Shakespeare ben nove volte, lodandolo nel suo ruolo di drammaturgo ed elencando dodici tra i suoi lavori.
Niente di più che un ‘mero copista’? Pare proprio di no, giacché Meres, già nel 1597, avrebbe pubblicato un trattato di matematica intitolato God’s Arithmeticke, in cui venivano messi in comparazione otto scrittori greci, otto latini e otto inglesi. Tra i 59 elenchi, solo alcuni risultano asimmetrici; mentre la calligrafia del cortigiano di Età Elisabettiana sembra fortemente allineata con quella del Bardo.
Certo, l’idea – di per sé – suscita enorme scalpore, esalta la fantasia… anche se i dubbi, in parte, rimangono. Al di là del naturale scetticismo, tuttavia, la diagnosi ha tutta l’aria di poggiare su basi solide. Ha saputo rendersi, insomma, attendibile. La si commenta, si apre spazio a ulteriori interrogativi; intanto, ci si lascia affascinare e traportare – dicevamo – dall’immaginazione. ‘Che sarebbe stato se…?’ e il mito rimane; anzi, si fortifica, ammantato di perplessità. Storia nella storia, intrisa di capovolgimenti, di colpi di scena, di imprevisti, proprio come si addice alle migliori tra le commedie di genere.
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