Animalier: quel graffio sulla pelle che è assai più che un costume
Animalier? Ammettiamolo, per molte ma non per tutte. Eppure, in estate, laddove ogni cosa – o quasi – è concessa – una ventata grintosa non dispiace, neppure alle più restie a mettersi in mostra. Maculato, ovvero tendenza che difficilmente, nonostante il trascorrere del tempo, passa di moda. Intramontabile elemento del guardaroba femminile, declinabile in più direzioni.
E, anzi, nel corso degli anni ha cambiato faccia più volte: sofisticato, sfrontato… traducendosi da un’estetica ricercata a connotazioni camp e conquistandoci in entrambe le occasioni. Reinterpretando se stesso, affinché potesse piacerci, sempre e comunque.
Dunque, neppure nei giorni afosi del 2024 ne possiamo – e ne vogliamo – fare a meno…
Dire che le radici sono antichissime. Bisogna, infatti, tornare indietro fino agli albori della civiltà, nel momento in cui le tribù primitive erano solite coprirsi, utilizzando le pelli degli animali. Un modo per ripararsi ma anche, a ben guardare, uno status symbol, sin da allora.
Jungle design, tradotto, da esporre anche per l’arredamento di casa: tappeti felini, pelli esotiche e animali imbalsamati. Più tardi, nella Grecia classica, lo stile assunse il nome di “zoote” (da ζωή, vita), in stretta connessione con i culti dionisiaci. Quelli, per intenderci, associati a sfrenatezza e lussuria. Ancor prima, in Egitto, il pardalide era un paramento indossato dai Sacerdoti, per assolvere specifiche funzioni.
Ad influenzare il moderno décor, la nobiltà del ‘700, agghindata all’eccesso ma con effetto sicuro, in quanto fonte di ispirazione. La connotazione fashion si deve, invece, ai primi del ‘900, all’alba del dopoguerra quando, tra le illustrazioni dei magazine femminili, iniziarono a fare capolino lo zebrato, il leopardato… e così via.
Come non ricordare, ad esempio, Joséphine Baker con il suo fantomatico ghepardo Chiquita al guinzaglio? Tocco esotico e al tempo stesso audace, capace di sedurre perfino le star hollywoodiane. Simbolo, pure, di emancipazione, ulteriormente promozionato dai costumi di scena ideati per Tarzan, l’uomo scimmia.
Arriviamo così, di decennio in decennio, fino alla metà dello scorso secolo, quando le pin up assunsero un ruolo fondamentale nel promozionare un capo d’abbigliamento che assunse, da allora in avanti, una connotazione fortemente sensuale. A dare, poi, manforte, nel processo di sdoganamento, l’avvento del bikini e il resto divenne presto fatto.
Il 12 febbraio 1947, Christian Dior segnò per sempre il destino della tendenza, attestando un prima e un dopo, grazie al suo completo imprimé jungle. Motivo ‘di rottura’, certo, ma non ancora carico dello spirito provocatorio che avrebbe assunto più in là. A tal proposito, Ken Scott e Valentino furono antesignani, nell’introdurre la stampa anche su capi maschili, riflettendo i cambiamenti culturali e sociali dell’epoca.
Dal ’68 agli ’80 il salto fu breve, sottolineato dallo sfavillio delle luce stroboscopiche delle discoteche. Studio 54 in pole position, si aggiunsero, a seguire, le passerelle, pronte a rivisitare ora in chiave glam rock, ora puramente sensuale, quella che poco oltre si era disegnata come identità stilistica per il designer Roberto Cavalli.
Look selvaggio e curatissimo, anticipato da colei che, in qualche modo, ne divenne rappresentante in prima persona, facendo di se stessa una sorta di tela vivente: Veruschka.
Un mondo, quello della giungla, che ha saputo sedurre anche Gianni Versace che, negli anni ’90, ne fece il suo marchio di fabbrica, arricchendolo di sfumature multicolor, riflessi iridescenti e tonalità fluo.
Effetto impattante, persino per i Reali. E’ iconica l’immagine della principessa Diana, datata 1997, con indosso un costume intero leopardato.
Oggi l’animalier è caposaldo amato da socialite e Pop star.
Promozionato dagli stilisti, incentivato nelle diverse manifestazioni: intero, due pezzi, pareo, prendisole… certezza capace di scavalcare le epoche, dall’anima cangiante ma indifferenziatamente chic, ora come allora.
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