Elettriche: quelle aspettative deluse e tanti danni

Elettriche: quelle aspettative deluse e tanti danni

Frenata della domanda / posti di lavoro a rischio. Sul limitare del decennio il conto – dati alla mano – potrebbe condurre, se non al licenziamento, almeno alla cassa integrazione, per 130mila addetti. Si dovrà, insomma, rinunciare all’8% circa della forza lavoro, tra costruttori e fornitori, includendo i 100-150mila posti stimati in bilico, nella componentistica Usa.

Risultato della bassa crescita del mercato dell’auto e, anzi, del fortissimo rallentamento della domanda, per le vetture a batteria. E, benché le big globali siano alla ricerca di soluzioni a conti sempre meno profittevoli la soluzione è scritta, se non altro per ora, in piani di uscite incentivate o periodi di ‘fermo a casa’, onde evitare provvedimenti, dal sapore definitivo.

Bosch, Continental e ZF Friedrichshafen – giusto per fare qualche esempio – presentano il programma più drastico, con tagli che, diluiti in tre o quattro anni, si spingono fino alla riduzione del 10% dei rispettivi addetti. Se poi ci si domanda: “Noi, invece, come stiamo messi?“, anche qui, sono i numeri a parlar chiaro. Sono in forse 40 mila posti, con conseguente perdita di valore di 7 miliardi, al 2030.

Superflua, anche la spiegazione degli esperti, che parlano di deterrente ‘temporaneo’, prevedendo una ripresa nella vendita delle elettriche, già intorno al 2026-27. I tassi di interesse potrebbero pesare meno sui finanziamenti, la tecnologia potrebbe essere più matura e convincere maggiormente i consumatori. Soprattutto, i prezzi dovrebbero essere più accessibili. Tant’è. D’altra parte, qualora la crescita del mercato si mantenga moderata nei prossimi 5 anni, una parte degli addetti potrebbe – continuiamo ad adoperare il condizionale – tornare, per il periodo necessario, a mansioni destinate alla produzione di auto tradizionali.

Paradossalmente“, addirittura, “un rallentamento del mercato dei veicoli elettrici potrebbe essere incrementalmente positivo per le case automobilistiche tradizionali, nella misura in cui prolunga la vita delle piattaforme esistenti…

Prendiamo ancora a modello il Gruppo Volkswagen. Il primo produttore continentale si declina in 680mila dipendenti, 114 stabilimenti nel mondo e ricavi, per oltre 300 miliardi di euro. Ebbene, il ceo, Oliver Blume, ha ideato un programma di risparmi senza precedenti per 10 miliardi di euro, entro il 2026. Dunque, niente rinnovo, per un elevato numero di contratti. Periodi di fermo produttivo. Eliminazione dei turni di notte. Giusto per citare alcune, tra le mosse in previsione.

Diverso è – si noti – per le tedesche Bmw e Mercedes-Benz. La casa di Monaco di Baviera, nel semestre, ha ottenuto un +24,6% con i tre brand (Bmw, Mini, Rolls-Royce). Non solo, gli ultimi investimenti in Ungheria, in Messico e in Germania comporteranno un’ulteriore espansione della forza lavoro.

Stellantis, per parte sua, punta a rinnovare la gamma, per risultare più competitiva in Nord America. Intanto, sono a rischio 2.450 dipendenti. Tradotto: non mette bene.

Capitolo Stati Uniti. Ford ha annunciato tagli, per circa 3.800 dipendenti. Piano, che include la combinazione di prepensionamenti, mancato rinnovo di contratti a termine e licenziamenti veri e propri. Si prova anche a puntare su nuovi pick-up elettrici più leggeri, meno costosi dei full-size previsti e a maggiore autonomia ma è tutto da vedersi. Intanto, anche GM ha appena annunciato 1.000 licenziamenti nel suo team di ingegneri del software.

C’è, infine, il caso Tesla, che non può certo dirsi indenne ai fenomeni in atto. Attraversa, a sua volta, l’azienda, una fase difficile, con profitti e margini in caduta, per la prima volta nella sua storia. Dunque, ancora in questo caso, si mettono in calcolo licenziamenti. Quasi il 15% della forza lavoro; circa 20mila persone secondo una stima di Bloomberg, inclusi ruoli manageriali.

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