Per prevenire la prossima pandemia, gli scienziati cercano l’animale zero
La salute degli animali e la salute umana sono “strettamente interconnesse”
La pandemia COVID-19, che attualmente sta devastando il mondo, è iniziata con un semplice virus, in un animale. Virus come questo, che possono passare da un animale all’altro, sono chiamati zoonotici. Rappresentano il 75% di tutte le malattie emergenti, con le quali le persone si confrontano oggi, e sono una tra le aree di studio più critiche, quando si tratta di proteggere la salute pubblica.
L’epidemiologa Christine Kreuder Johnson sa che un virus, trasportato dalla fauna selvatica in qualsiasi angolo apparentemente remoto del mondo, può potenzialmente minacciare la salute degli esseri umani, a livello globale. Studia come i virus degli animali “si riversano” nelle popolazioni umane, come direttore associato del One Health Institute dell’Università della California. ” One Health ” è un quadro, per pensare a come la salute delle persone, degli animali e del nostro ambiente condiviso siano tutti collegati.
Johnson è l’autrice principale di un nuovo studio, che ha scoperto che gli animali domestici, insieme alla fauna selvatica che si è adattata agli umani e che invade i loro habitat – come pipistrelli e roditori – sia responsabile della maggior parte dei virus, riscontrati fino ad oggi. I suddetti risultati, sono la prova degli effetti gravi che gli animali possono avere sul nostro benessere.
Lo studio è stato finanziato attraverso il programma USAID Emerging Pandemic Threat Predict. Dal 2009, il programma ha raccolto oltre 140.000 campioni biologici di animali, per identificare 1.200 virus – compresi più di 140 nuovi Coronavirus – che potrebbero, un giorno, rappresentare un’altra minaccia globale. Nel corso dei prossimi mesi, gli esperti esamineranno i loro campioni, per vedere se il nuovo Coronavirus potrebbe essere passato da un animale all’altro, anche prima del sospetto; poiché spesso può passare inosservato, prima che scoppi un focolaio.
The Verge ha parlato con Johnson della crisi COVID-19 che stiamo vivendo oggi e di cosa si potrebbe fare, per prevenire un’altra pandemia simile, in futuro.
Cosa sono i virus zoonotici e cosa li rende particolarmente pericolosi?
“Alcuni non sono pericolosi. Molti circolano e sono endemici a livello globale. Gravano sulle persone che hanno contatti con gli animali, in particolare gli allevatori di bestiame.
Ma il nuovo Coronavirus ha fatto il salto, dagli animali agli umani, ed è stato in grado di essere trasmesso da uomo a uomo. Poiché proviene da animali, tutti gli esseri umani sono sensibili.
L’intera popolazione mondiale è ingenua rispetto al nuovo virus, perché nessuno di noi vi è stato esposto prima. Ed è ciò che lo rende particolarmente pericoloso. Quando la trasmissione passa da uomo a uomo e non si è preparati, ci si ammala tutti insieme. E questo, come si è visto, comporta un enorme onere per le risorse sanitarie pubbliche e le strutture sanitarie, che ora hanno un gran numero di malati da affrontare contemporaneamente. Le circostanze, in questo modo, risultano tragiche.”
In che modo gli scienziati studiano o sorvegliano i virus nella fauna selvatica, per evitare una pandemia?
“Molto, molto attentamente. E posso parlare di cuore, qui, perché ho il grande onore di lavorare come parte del progetto Predict, con colleghi in paesi come Africa, Asia e America Latina. Per la maggior parte, sono veterinari della fauna selvatica e sono alcuni tra i migliori ambasciatori del metodo di lavoro sicuro, efficace e soprattutto etico, con gli animali selvatici. Dobbiamo stare attenti a non aumentare il rischio di malattia.
Come parte del progetto Predict, siamo tutti d’accordo sul fatto che, praticamente, non avremmo alcuna impronta ecologica. Vorremmo catturare animali, campionarli e rimetterli a posto. Prendiamo i tamponi. Effettuiamo anche il prelievo di campioni di sangue, per cercare altri virus. Ma i tamponi sono il modo migliore per conoscere a fondo il Coronavirus. E lo faremmo in un modo assolutamente biosicuro. C’è la possibilità, poi di trasmettere infezioni agli animali. Dobbiamo assicurarci, dunque, di non alterare il loro l’equilibrio.“
In che modo le malattie zoonotiche come questa possono diffondersi nelle persone?
“Condividiamo habitat che non avevamo condiviso in precedenza. In tal modo, abbiamo l’opportunità di interagire con gli animali, fondamentalmente, che prendono dimora vicino alle comunità umane. Molti di questi virus sono potenzialmente condivisi attraverso il contatto con feci o urine.
È molto importante considerare come le nostre azioni stiano cambiando il loro numero. Abbiamo prove sostanziali, nell’ecologia delle malattie che, quando gli animali hanno si spostano dal proprio habitat, aumenta il rischio epidemia, nella loro stessa popolazione. Ci troviamo in una situazione in cui, man mano che la pandemia progredisce, ci viene chiesto di ripararci sul posto e rimanere fermi, perché è ovvio per tutti che quando ci muoviamo, aumentiamo la probabilità di contagio.
Le stesse dinamiche della malattia prendono le mosse dalla fauna selvatica. Se viene cacciata o l’habitat distrutto, e devono spostarsi, e quel movimento aumenta, effettivamente, la dinamica della malattia, insieme alla probabilità di epidemie in entrambe le popolazioni, animale e umane.
Nel contesto del mercato, si inseriscono specie di animali selvatici molto diversi: pipistrelli, carnivori e ungulati [mammiferi con zoccoli]. Sono tutti insieme e sono vivi, quindi in grado di condividere virus. Questa tendenza dei virus a saltare le specie dovrebbe essere una capacità molto rara e difficile, ma stiamo offrendo opportunità ai virus, che mutano naturalmente, per fare leva sulle altre specie, presenti nelle vicinanze.
Stanno condividendo le goccioline respiratorie o c’è contaminazione da urina e feci. In contesti ravvicinati, con un numero denso di animali, stiamo aumentando l’opportunità che una di queste mutazioni decolli. E poi, ovviamente, abbiamo portato gli umani nella medesima situazione, spesso anche in numero denso. E’ la situazione epidemiologica perfetta per i virus, che saltano gli host e trovano una via d’uscita.“
Cosa possiamo fare per ridurre al minimo il rischio di un’altra pandemia, come quella che stiamo vedendo ora?
“C’è molto da fare per regolare il commercio e il traffico di specie selvatiche, ed evitare un’altra pandemia. Ma penso anche che ci sia molto che possiamo riguardo all’informazione. Come vivere in sicurezza, con la fauna selvatica.
Dobbiamo davvero pensare alla salute della fauna. Abbiamo investito nella salute umana, nelle specie domestiche… ma la salute della fauna selvatica è stata l’ultima a venire curata. Meno persone che lavorano in questa sfera e con meno investimenti. C’è molto, ancora, da imparare.“
Cosa c’entra la salute degli animali e dei loro ambienti con la salute umana?
“C’è stato un cambiamento nella professione sanitaria. Abbiamo iniziato a renderci conto che la salute degli animali e la salute umana sono connesse; che ci sono malattie zoonotiche che ereditiamo dagli animali, con il rischio, elevato, di pandemia. Abbiamo iniziato a fare molte buone politiche, per garantire che la sorveglianza delle malattie degli animali e degli esseri umani sia più connessa, segnalando le scoperte e tenendoci reciprocamente informati. Ma ciò che è rimasto indietro è l’idea che la nostra salute – e certamente la salute degli animali, in particolare della fauna selvatica – sia anche dipendente dalla salute ambientale e dall’integrità dell’ecosistema.
Siamo in conversazione, per cercare di comprendere come si sviluppa il rischio di malattia e pandemia. È qui che l’approccio One Health ha davvero senso, nella visone che la salute degli animali e la salute umana sono strettamente interconnesse. E poi dobbiamo anche pensare a come la salute ambientale sia davvero al centro di entrambi.
La salute pubblica è un problema di salute ambientale.”
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