Maria Callas e quei suoi gioielli mai più ritrovati
Il costume da bagno a stampa floreale, il giornale tra le mani, come fosse una bagnante qualunque. In quel Lido di Venezia si confonde tra la folla la ventisettenne, con il futuro ‘inciso’ nelle corde vocali.
A renderla riconoscibile, prima ancora – forse – di dar modo al pubblico di imparare a comprendere chi sia, l’aria smarrita di chi viene colta di sorpresa e gli orecchini, pendenti in perle: vezzi da Diva, anzi, da Divina. Del resto, non manca poi tanto perché lo diventi.
Le origini, greche – benché sia newyorkese – ne definiscono i tratti, anche se la riconoscibilità diventa esponenziale nel momento in cui manifesta quel suo essere Amante. Amante dell’arte, innanzi tutto, in ogni sua manifestazione… o forma. Recita per l’amico Pasolini e al contempo veste le creazioni orafe delle Maison più prestigiose: Swarovski, Harry Winston, Van Cleef and Arpels. Creazioni disegnatele addosso, per aderire ad una personalità irrequieta e carica di talento.
Appena un anno, ad anticipare quel tormentato debutto alla Scala di Milano. Sostituirà la Tebaldi, per l’occasione, tra le soprano più celebri dell’epoca. Un’accoglienza piuttosto tiepida, per la sua interpretazione dell’Aida. Inaspettata ‘sconfitta’, per una donna cresciuta nella fame di perfezionismo. Due anni e Maria Callas è Medea; e lo stesso timbro ‘metallico’ che ha lasciato perplessi, in principio, fa adesso, della sua voce, qualcosa di unico.
Ma la cantante, lo si è detto è, per indole, Amante… e lo è anche e soprattutto di Onassis. L’armatore greco le regalerà ben più che lusso. Gli Anni d’Oro abbracceranno anche la Festa presso il Danieli… Venezia torna, ancora… sorta di mantra.
E’ il 1957 e fra il tycoon e Anna Maria Cecilia Sofia Kalos – all’anagrafe – scatta una di quelle congiunture che trascinano in sé la potenza di una passione incontenibile. Aristotele, per l’intera durata della relazione, le donerà gioielli di rara opulenza: diamanti, rubini, smeraldi…
Smanie di grandezza, che non proteggeranno, tuttavia, la Casta Diva dalla triste fine, in quel di Parigi, nel 1977; chi asserisce per arresto cardiaco, chi ventila l’ipotesi, più suggestiva, di un suicidio.
Quel che rimane… l’architettura di un’espressività, minuziosamente coltivata nella volontà mirata, più ancora che per una questione di istinto, di sedurre. ‘Condurre a sé‘… e splendere.
Come le perle, i collier e tutto quel gran scintillare di pietre, inspiegabilmente ‘scomparsi’ alla dipartita della donna. Bellissimi… troppo, forse, per non rendersi, poi, evanescenti. Una collezione, messa via negli anni, in cui ogni elemento incamerava il senso della propria riconoscibilità. Nelle teche di Milano, Verona… Venezia (ed eccola, ancora, la Laguna, presente in questo nuovo atto) compaiono i Vespri siciliani, una coppia di orecchini, e il Nabucco, una spilla. Perché Lei era così. E’ così. Lei i suoi averi li chiama per nome e li associa alle opere liriche che le sono più care. “Casta Diva, che inargenti queste sacre antiche piante, a noi volgi il bel sembiante…“. La Norma – Bellini.
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