Straberry e quei ‘birichini’, figli della Madunina
E ci risiamo… si parla tanto di Startup, poi, al dunque, viene fuori lo scandalo. Stavolta, nell’occhio del ciclone, è finita la Straberry di Cassina de’ Pecchi, innovativa azienda – come si presenta sul sito che la riguarda – che coltiva frutti di bosco, a 15 km da Milano. Fondata da un 31enne bocconiano, all’anagrafe Guglielmo Stagno d’Alcontres, l’area produttiva, di circa 200.000 mq, costituita per 25.000 mq da serre fotovoltaiche riscaldate, è stata addirittura insignita dell’Oscar Green di Coldiretti, nel 2013 e nel 2014, per la sua opera a favore del territorio, dell’ambiente, del paesaggio. Siete già tutti pronti, carta e calamaio alla mano, per prendere appunti sulla ‘perfetta formula del successo’?
Fermi, fermi, fermi… non correte. Perché, nelle ultime ore, l’Azienda è stata messa sotto sequestro dagli investigatori, con l’accusa di sfruttamento e insulti razzisti verso i braccianti. Il primo caso di caporalato, nei pressi della Capitale meneghina, è adesso affidato al buon senso di un amministratore giudiziario.
La Straberry è un’azienda a chilometro zero, ma ora la Procura di Milano ha messo sotto indagine sette persone, per il trattamento riservato agli extracomunitari. Secondo quel che emerso, turni estenuanti e stipendi da fame: 4,5 euro l’ora; ovviamente, niente riposo.
“Questo mese solo un giorno di pausa, sempre lavoro. Io sempre stanco, faccio il lavoro di dieci persone“, la voce di Ibrahim, tra i braccianti, parla per tutti.
E se le testimonianze dirette non dovessero bastare, le intercettazioni telefoniche hanno tirato su il sipario su una realtà scomoda, una routine di cui, chi era a capo, finiva addirittura per vantarsi: “Questo deve essere l’atteggiamento, perché con loro devi lavorare in maniera tribale. Tu devi fare il maschio dominante, è quello il concetto. Io con loro sono il maschio dominante. Sono più orgoglioso di avere inventato Straberry che avere questi metodi coercitivi, chiamiamoli così, nei loro confronti. Ma sono i metodi con i quali bisogna lavorare“. Come a dire, il fine giustifica i mezzi, e chissà quanto il buon Machiavelli si troverebbe d’accordo.
Del resto… “Le nostre serre in vetro di ultima generazione utilizzano impianti automatici e sistemi informatici per la gestione del ciclo colturale controllando a 360° i parametri… quali temperatura, umidità e ventilazione “, recita ancora l’impressum. “L’energia in esubero viene ceduta, garantendo l’approvvigionamento energetico a più di 4.000 persone… “
Quanta solerzia. “La raccolta viene interamente fatta a mano, fin dalle prime ore del mattino...” e qui, quel che dovrebbe suonare di rassicurante si colora, alla luce dei fatti, di tinte leggermente più fosche. E poi giù l’elenco delle gesta che, in teoria, l’Impresa è capace di compiere, nell’arco delle 24 ore.
Oh, nulla da obiettare rispetto alla tecnica e al modo in cui viene adoperata… “nell’intento di ridurre la proliferazione dei batteri“; ‘lotta integrata‘, ci spiegano, è la pratica che permette di ridurre al minimo i trattamenti. Un leggero prurito al naso ci viene, invece, scorrendo le ultime righe della prefazione: “la disposizione delle canaline facilita la raccolta dei frutti, rendendola più rapida e agevole, nel rispetto della salute e sicurezza del lavoratore.”
Per carità. Alziamo le braccia. Fatto sta.
Sette, dicevamo, gli indagati, da parte del pm, Gianfranco Gallo: due amministratori, due sorveglianti della manodopera, due dipendenti amministrativi addetti a reclutare il personale e un consulente, che compilava le buste paga.
Tutte brave persone, tutta gente dall’immagine ‘rispecchiabile’, tutti eroi delle nuove soluzioni di lavoro… almeno fin quando non si decide di alzare il tappeto e di andare a controllare, sotto, cosa c’è.
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