Quel grande furbacchione di Leonardo che nascose la Gioconda… sotto la Gioconda
“Sì, vorrei rubarla
Vorrei rubare quello che mi apparteneva
Sì, vorrei rubarla
E nasconderla in una cassa di patate…“
Nel 1978, le dedicava la canzone appena riportata Ivan Graziani. L’ennesima, giacché in tutto il mondo e in infinite maniere si è dissertato, discusso, sognato… riguardo ai segreti che in sé – vero o no – nasconde. Se ne è scritto, facendone l’apripista di celebri romanzi (Uno su tutti: Il Codice da Vinci di Dan Brown); si è ipotizzato di tutto sulla Gioconda, persino si trattasse di un uomo. Ora si torna ad interessarsi dell’opera dal fascino inesauribile, per via di uno studio high tech, capace di individuare la tecnica pittorica utilizzata dal suo geniale autore.
Leonardo realizzò il dipinto, ad olio, intorno al 1503-1504. Un’incompiuta, particolare che ne amplifica ulteriormente il carisma. E, da allora, non si contano le indagini, tese a scoprire cosa celasse, in realtà, quello che nessuno riesce ad accettare come semplice ritratto.
Ebbene, approfondite analisi multispettrali – ci sono voluti ben 15 anni di impegno continuato – condotte dal ricercatore francese Pascal Cotte, in collaborazione di Lionel Simonot, hanno condotto ad una scoperta di rilevante significato.
I 1.650 scatti effettuati, a partire dal 2004, tramite fotocamera multispettrale ad alta risoluzione di Lumiere Technology hanno portato ad individuare – secondo quanto riporta Journal of Cultural Heritage – una sorta di bozzetto preparatorio. Un disegno che il lungimirante da Vinci avrebbe eseguito, prima ancora di dipingere la Monna Lisa.
Era lì, nascosta sotto ciò che più palesemente appare alla sguardo, la traccia in carboncino di ciò che, più palesemente, ‘sarebbe stato’. In pratica, grazie alle immagini, basate su un sistema ad infrarossi capace di rivelare la luce riflessa su 13 differenti lunghezze d’onda, sulla tavola sono state rintracciate le prove dell’esistenza di un primo abbozzo, linea del successivo e definitivo.
Non di altro trattasi, se non della tecnica dello spolvero; quella, cioè, che consente di trasferire sulla tavola uno schizzo realizzato su cartone, grazie ad una serie di fori praticati a scontornare il soggetto, su cui viene, in successione, spolverata una certa quantità di carbone. Una sorta di stencil vecchia maniera, per capirci.
Tracce della metodica in questione sono state rinvenute, in particolare, sotto l’attaccatura dei capelli della Dama protagonista del ritratto e sul bordo della mano destra.
Un’ipotesi, che aprirebbe le porte a nuove eventualità. Come, ad esempio, la possibilità che esistano più versioni della medesima pittura, tra cui quella custodita presso il Museo Prado di Madrid.
“Queste scoperte accrescono il mistero della creazione della Gioconda e ci fanno comprendere che si tratta di un ‘atto creativo’ molto lungo, che avvenne in più fasi”, fa notare il professor Cotte.
Al di là delle dissertazioni ‘razionali’, a noi elettrizza l’idea che, ancora nel 2020, un Capolavoro – perché questo rappresenta – realizzato ormai secoli or sono, conservi tuttora il potere di inchiodare l’attenzione di chi, per motivazioni diverse, con esso si trova a contatto.
Che sia in grado di destare la fantasia di chi sa volare con l’immaginazione e lasci adito alla probabilità – alla speranza? – che da qualche parte, dimenticato, sapientemente riposto… esista un altro tesoro nascosto, che attende solo di venire alla luce.
LEGGI ANCHE: Imparare in fretta? Si può. Bastano sei semplici abitudini…
LEGGI ANCHE: L’Immacolata Concezione si rifà il look… restauro disastroso
Commento all'articolo