L’amor cortese riletto con gli occhi di Beatrice
“Apparve vestita di nobilissimo colore, umile e onesto, sanguigno, cinta e ornata a la guisa che a la sua giovanissima etade si convenia“. Se ci ripenso, adesso… Ero così piccola. Lo era anche lui. fatemi riflettere… era il 1274, se non erro. Io avevo 8 anni. Dante 9. Appena uno più di me. Se prendete in mano, adesso, la Vita Nova, potrete ancora rinvenire le tracce di quel nostro percorso iniziato così, quasi per caso, in un giorno di Festa.
“D’allora innanzi dico che Amore segnoreggiò la mia anima“, scrisse Lui. Io ricordo solo che ero vestita di rosso e che per rivederlo, dovetti attendere altre nove primavere. A 18 anni le cose si vivono diversamente, così, stavolta, presa forse dall’entusiasmo; forse spaventata che non fosse Lui a farlo, lo salutai io, per prima. Che vergogna, l’istante successivo. E quel rossore, sul volto, si percepiva ancor più tangibile. M’infiammava il viso, denudato dalle vesti candide. Ma tra le strade di Firenze, seppure quel giorno ci fosse stata la nebbia più fitta, dentro al mio cuore sarebbe albergato il Sole.
L’unico, flebile raggio, a dire il vero. Ero sposata, già, allora. Come potevo anche solo immaginare di andare oltre? Lo sentivo mentre mi guardava… mi spogliava con gli occhi e quando iniziò ad adoperarsi per carezzarmi con le parole, non me la sentii di impedirglielo. Intuivo di essere la sua Musa. Sapevo bene che, se solo mi fossi spinta un poco più avanti, non avremmo avuto scampo, entrambi. O meglio, non ce ne saremmo concessi. Così, ambedue, rimanemmo immobili. Paralizzati in quella bolla che ci imprigionava e ci proteggeva, insieme, dallo scandalo.
Vi prego, non chiedetemi se lo amavo… Qualsiasi cosa io abbia provato ho tentato in tutti i modi di rimuoverla, dapprima. Poi di sublimarla… Ma se ancora oggi mi costringete… Me la palesate davanti, mi rinverdite, nell’animo, quel furore che ho impiegato mesi e mesi e mesi per schiacciare… L’ho dissimulato, illudendomi che voltando lo sguardo me la sarei cavata.
Ingenua, sciocca, presuntuosa…
Mi domando ancora se mi sia salvata o se non, piuttosto, abbia sprecato un’esistenza.
Gli tolsi financo il saluto. Volevo evitare le chiacchiere, ma quanto più grave fu scorgere lo smarrimento, dapprima, poi la solitudine nei suoi occhi. Avrei preferito, di grazia, rintracciavi disprezzo. Sentivo di meritarmelo. Invece no. Lui scrisse di me. Mi cesellò, figura intatta, in quelle sue pagine straripanti di umana inquietudine. Mi volle guida e Santa. Che forse, al suo sguardo, lo ero.
“Tanto gentile e tanto onesta pare/la donna mia quand’ella altrui saluta“. Già, “mia“. Invece appartenevo, di fatto, a Simone de Bardi, rampollo di una tra le famiglie più prestigiose dell’epoca. Ah… Simone. Io tra le braccia dell’elite medievale, insomma. Lui, quello che avrebbe dovuto, in teoria, essere il mio uomo, tra quelle, voluttuose, di Gemma Donati. Li immagino… mentre si scioglie tra le carni tenere di un’altra donna. La concupisce, la desidera, la prende… Per uno, due, tre figli…. c’è addirittura chi sussurra di un quarto…
Ah… sospiro. Perdonate. E perdonate questo mio vacillare della voce. Solo, ricerco in me quel tanto di ironia e di distacco per proseguire nel racconto.
“Sovra candido vel cinta d’oliva/donna m’apparve, sotto verde manto/vestita di color di fiamma viva“. Sapeva come raccontare di me. Che dire? Mi ha trasportata, con questi esatti versi, nel XXX canto del suo Purgatorio. Pensate, la scritta campeggia ancora adesso sopra l’ingresso di Palazzo Portinari. Quella che, situata in via del Corso, poco prima dell’incrocio con via del Proconsolo, allora, per me, era casa. Eravamo così vicini.. ambedue collocati nell’antico Sestriere di Porta San Pietro. Troppo, perché non accadesse.
Il Sommo Vate e l’Angelica Creatura. Mi domando se è questo ciò che avremmo voluto. Se non. piuttosto, avremmo preferito insudiciarci la pelle, macchiarcela dell’odore reciproco. Marchiarci a vita, banali, disonesti…appagati.
Durante per Bice. Bice per Durante… Mio padre, Folco, era un banchiere. La realtà ‘bene’ della Firenze duecentesca non poteva di certo concedersi al primo venuto… Quanto avrei mai voluto, in quel 1266, venire al mondo. Lo so, mi odierete, forse, per queste mie peregrinazioni ma il mio cuore è ben più fragile di come non l’abbia voluto dipingere il Sommo, ed umano.
Perché non dovrei – indossate i miei panni, ve ne prego – rinnegare quel che sono stata. Vissuta in un desiderio zittito, inespresso. Le ossa, che di null’altro posso parlare ora, fremono tutt’oggi.
Non ce l’ho fatta. Non ho atteso neppure i 25 anni per andarmene, l’8 giugno 1290. Si dice che sia morta di parto. Tant’è. Lui ha continuato a tenermi concreta nella sua immaginazione e lo ha fatto in modo talmente intenso da togliermi il fiato, seppur fossi già defunta.
Massacrami Amore Mio! Fallo ancora e ancora e ancora… che io non saprò mai scrivere con le tue stesse parole, pur ammantandomi del medesimo sentimento.
Oh Dante..’mio’… L’ho detto. Due vocali, una consonante, per descriverti come avrei voluto – solo – riposare tra le tue braccia. Invece, ancora a 700 anni dalla tua Opera Suprema, rimango contesa tra due Chiese. C’è chi vuole le mie spoglie, come da consuetudine, collocate presso la Basilica di Santa Croce. Io preferisco convincermi di essere stata sepolta laddove risiede la mia lapide, in Santa Margherita de’ Cerchi.
Strano a dirsi. E’ vero, è qui che riposa chi mi mise al mondo. Ma, beffa del destino, è proprio qui che tu impalmasti la ‘tua’ Gemma. Lei sì, lo fu veramente… io, ragazza cristallizzata in un sogno. Eterna ed eternamente irraggiungibile. Impalpabile ma necessaria, alla guisa dell’aria.
Ti supplico, Amore mio… fammi rinascere ancora e pagherò tutto quel che occorre per non essere più la stessa. Per trasformarmi in una Dama di nessuno, dal petto caldo e palpitante… per accoglierti, fino in fondo al mio ventre. Per non risparmiarmi più un sussulto che non sia per te…
Dammi audacia, forniscimi di intraprendenza, spogliami dei pregiudizi e donami una seconda possibilità. Non la tradirò, te lo prometto. Mi concederò, senza che tu abbia a pretenderlo. Guardami… sono Beatrice. Sono qui. I vestiti a terra e, con essi, le remore di un retaggio che non ha più ragion d’essere…
Avvicinati. Allunga la mano… che può già intuire il calore della mia…
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