Nel nome del padre…

Nel nome del padre…

Una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna“. Eccola, l’ultima notifica della Corte Costituzionale. Che si concretizza nella constatazione che, dare al figlio il cognome paterno si riduce, oggi, a desueto retaggio.

Si sgretola, in questo modo, anche l’ultimo baluardo di una Società improntata su un codice patriarcale. Affermazioni che, pur non profumando di avanguardia – talmente ovvie, in data odierna – spalancano tuttavia la strada a nuove questionate divergenze, riguardo al concetto di genitorialità.

Fausto Pirandello – Padre e figlio – 1934

In sostanza, ci si chiede: in caso di accordo tra le parti, è possibile dare al figlio il cognome della madre anziché quello del padre? E, ancora: quando suddetto accordo non è presente, prevale ancora la trasmissione del cognome paterno?

Delicata quaestio‘, comunque la si voglia vedere. Sollevata dal Tribunale di Bolzano nel 2019 e che, adesso, a ben due anni di distanza, trova le sue risposte. “La prevalenza attribuita al ramo paterno nella trasmissione del cognome non può ritenersi giustificata dall’esigenza di salvaguardia dell’unità familiare“, si attesta. E la novità è tutta qui.

E’ proprio l’eguaglianza che garantisce quell’unità e, viceversa, è la diseguaglianza a metterla in pericolo. L’unità ‘si rafforza, nella misura in cui i reciproci rapporti fra i coniugi sono governati dalla solidarietà e dalla parità“.

In sostanza, “qualora venisse accolta la prospettazione del Tribunale di Bolzano, in tutti i casi in cui manchi l’accordo dovrebbe essere ribadita la regola che impone l’acquisizione del solo cognome paterno“, recita l’Ordinanza, ribadendo la supremazia di quest’ultimo.

Ciò nonostante, la Consulta aggiunge che trattasi di una visione assolutamente temporanea, “in attesa di un indifferibile intervento legislativo, destinato a disciplinare organicamente la materia, secondo criteri finalmente consoni al principio di parità“. In parole povere, si attende un intervento da parte del Parlamento Italiano.

Benché fino ad oggi “gli inviti ad una sollecita rimodulazione della disciplina” non abbiano avuto seguito, “viene riconosciuto pieno valore al principio costituzionale di uguaglianza tra uomo e donna“. Esulta, in merito, la senatrice del pd Valeria Valente, presidente della Commissione Femminicidio. E’ da considerarsi, in ogni caso, quest’ultimo, soltanto l’ennesimo scalino superato, nella messa a punto e nella revisione di una serie di leggi – inerenti a costumi ormai obsoleti – che mirino a tutelare chi, più debole, richieda la custodia e la salvaguardia dei propri diritti.

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